Matteo Renzi supporta il regime dittatoriale dell’Arabia Saudita e gli vende le armi

Mattero Renzi va a rendere omaggio alla terribile dittatura saudita. I renziani anti-Islam come Christian Rocca tacciono.

renzi-arabia-sauditaQui sopra Renzi è con il Ministro degli Interni saudita, l’uomo che decide le impiccagioni e le crocifissioni così frequenti a Chop Chop Square, la piazza di Ryadh dedicata alle pubbliche esecuzioni. Renzi ha parlato degli imprenditori italiani che costruiscono la metropolitana di Ryadh e non ha parlato degli imprenditori italiani che vendono le bombe con cui i Sauditi bombardano lo Yemen.

La stampa italiana (vedi questo articolo) ha tentato seppur timidamente di mettere sul piatto il tema dei diritti umani, mentre la stampa Saudita ha detto la verità, spiegando che i due leader hanno parlato di business. Come sostiene l’agenzia di stampa ufficiale della monarchia saudita, l’Italia di Renzi e la dittatura Saudita sono ‘paesi amici’

Riyadh, Muharram 26, 1437, November 08, 2015, SPA — Crown Prince Mohammed bin Naif bin Abdul Aziz, the Deputy Premier and Minister of Interior, discussed with the Prime Minister of the Republic of Italy Matteo Renzi ways to promote and support bilateral relations between the two friendly countries during a session of talks held here this evening.

They also reviewed the latest developments in the region.

The talks were attended by a number of senior officials of the two sides.

D’ora in poi, quando sentirete Renziani di destra come Christian Rocca, Fabrizio Rondolino, Pigi Battista o altri parlare dei diritti umani nei paesi musulmani, delle guerre di Bush, degli obblighi Occidentali nel combattere l’intolleranza religiosa, potrete ricordare la visita di Renzi e il suo tentativo (riuscito) di fare diventare l’Italia un paese amico e alleato della mostruosa dittatura Saudita.

Per Tony Blair e Christian Rocca il caos in Iraq è colpa di Bush!

Incredibilmente Christian Rocca, un tempo massimo sostenitore della politica guerrafondaia di Bush, dà la colpa all’ex presidente per il caos in cui è sprofondato l’Iraq in questi giorni.
Allo stesso modo, Tony Blair, un tempo alleato di Bush, critica la facile retorica con cui l’ex alcolista texano aveva “chiuso” la guerra in Iraq.
Vediamo un po’.

Tony Blair, in un articolo sull’Independent in cui cerca di scrollarsi di dosso le responabilità gravissime per la situazione attuale, sostiene che la sicurezza dell’Iraq è un obiettivo “da raggiungere nell’arco di una generazione, in cui non è possibile ottenere una vittoria netta e definitiva”. In inglese, “This is a generation long struggle. It is not a ‘war’ which you win or lose in some clear and clean-cut way. There is no easy or painless solution. ”
Ci sembra questa una feroce critica al “missione compiuta” pronunciato da Bush nel 2003. La missione doveva durare per decenni ancora secondo Blair, che si scaglia così contro le manie di protagonismo dell’ex alleato. C’è da dire che nel 2008 fu lo stesso Bush a dirsi pentito di aver pronunciato quel discorso, ammettendo di aver “dato il messaggio sbagliato” definendo “compiuta” una missione che undici anni dopo è peggio di prima.

Secondo Rocca, invece, l’errore mortale di Bush è stato quello di ritirare le truppe dall’Iraq, permettendo ai terroristi dell’Isis di riorganizzarsi.
Un errore madornale, compiuto da un presidente che Rocca ha sempre apprezzato.
Vediamo cosa scrive in questo articolo:

“Il capitolo Iraq è il più complesso. Obama era contrario all’intervento, definito “dumb war”, guerra stupida. La promessa era di ritirare tutti i soldati americani entro la fine del primo mandato. Una promessa già calendarizzata da Bush e dal premier iracheno Nouri Al Maliki in un trattato formale tra Stati Uniti e Iraq che prevedeva il ritiro parziale entro il 2010 e quello definitivo, di tutti i soldati americani, entro la fine di quest’anno. Ora Obama sta pensando, su richiesta dei suoi militari e di Baghdad, di rompere quella promessa e superare il trattato Bush-Maliki e di lasciare in Iraq un contingente militare. Al vaglio ci sono due ipotesi: quattordicimila uomini oppure, più probabile, tre o quattromila.
Obama si è circondato degli stessi collaboratori di Bush per combattere la guerra al terrorismo scatenata da Al Qaeda.”

Fu Bush a pianificare il ritiro delle truppe dall’Iraq per il 2010/2011, quindi è colpa sua se, come sostiene il Washington Post, “i terroristi, ormai quasi sconfitti, senza la presenza americana hanno avuto il tempo di riorganizzarsi e ora stanno prendendo in mano il paese”. Obama si è limitato a seguire le tappe stabilite da Bush e dal governo Iracheno.
Ma c’è di più. Nello stesso articolo il Washington Post accusa Obama di non aver dato ascolto ai suoi generali che chiedevano di mantenere tra i 18mila e i 4mila soldati in Iraq per controllare la situazione.

Ebbene, nell’articolo di Rocca sopracitato, questa decisione viene attribuita a Obama, nel tentativo di rafforzare il framing “that’s right” scelto da Rocca, per cui gli “obamiani italiani” sono degli ingenui che non si rendono conto che Obama sta continuando la politica estera di Bush, tutt’altro che pacifista.
Ora il caos in Iraq sta cambiando le carte in tavola, e i neoconservatori americani tanto graditi a Rocca stanno puntando su Hillary per una nuova stagione di interventismo in Medio Oriente. Delegittimando in questo modo la campagna giornalistica di Rocca degli ultimi otto anni, tutta tesa a dipingere Obama come un seguace della dottrina Bush.

hillarocca

Matteo Renzi non mantiene le promesse e fa piangere i bambini di Firenze

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Justin Bieber è stato nominato sindaco d’Italia!

Nel giubilo degli organi di stampa italiani Matteo Renzi è stato nominato capo del governo.

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Il premier non stop che fa gimme-five è già il top del top!

Aldo Cazzullo è tra i (tanti) giornalisti che esaltano le gesta di Matteo Renzi. Nei suoi ultimi articoli sul sindaco-premier, Cazzullo ha parlato frequentemente delle visite di Renzi in Oltrarno, uno dei pochi quartieri del centro di Firenze che abbia ancora un sostrato popolare.
Bene, Cazzullo si è guardato bene dal dire cosa gli oltrarnini pensino realmente del sindaco.

oltrarno drago verde

Checché ne dica Aldo Cazzullo, l’Oltrarno non apprezza il sindaco bugiardo e sfila mostrando orgogliosamente il gonfalone del Drago Verde, simbolo del rione.

Si dà il caso che l’amministrazione precedente a quella di Renzi aveva vergognosamente permesso che un bene pubblico, il giardino Nidiaci, andasse fra le grinfie di un costruttore privato. In progetto nel quartiere c’è anche la costruzione di un enorme parcheggio interratto sotto una chiesa adiacente al giardino.

Ovviamente il quartiere rifiuta con forza questi atti di prepotenza istituzionale e di mancato rispetto della vita dei cittadini. Gli oltrarnini si sono raccolti in una associazione di base che in maniera volontaria, ricucendo la socialità del quartiere, testardamente, è riuscita a salvare almeno una parte del giardino, donato al quartiere novant’anni fa da una ricca famiglia.

Renzi aveva promesso di rendere nuovamente pubblico il giardino Nidiaci, sede di una ludoteca, procedendo all’esproprio dell’area.
Non l’ha fatto, ha mentito, e ora va a Roma senza avere mantenuto le promesse.

Un giardino che per secoli è stato l’unico polmone verde del quartiere Oltrarno, svenduto al migliore offerente dal sindaco che c’era prima di Renzi; Renzi aveva promesso di intervenire ma non l’ha fatto. Aveva promesso anche di fare un’assemblea pubblica per ascoltare il quartiere e per “guardare in faccia chi dice no” ai suoi progetti, ma non ha avuto il coraggio di fare neanche questo, impegnato com’era a inseguire le proprie ambizioni politiche romane, disinteressandosi della città che avrebbe dovuto amministrare e dei bisogni dei cittadini e dei bambini. Il tempo per Maria De Filippi e Alfonso Signorini lo ha trovato; il tempo per i bambini della sua città no.

Ora che non è più sindaco, si può dire ad alta voce che Renzi è un bugiardo che ha tolto il sorriso dal viso dei bambini dell’Oltrarno.

Tremiamo al solo pensiero di ciò che potrà fare all’Italia.

Ritratto di Naor Gilon, ambasciatore israeliano in Italia

In quest’articolo abbiamo parlato della soporifera presentazione di un libro, alla quale hanno assistito diversi uomini potenti.
Abbiamo messo i nomi di alcuni di loro fra i tag, e da allora, abbiamo registrato diverse visite al nostro sito da parte di gente che cerca su google il nome di uno di questi uomini potenti accorsi in via Solferino: Naor Gilon.
Negli ultimi giorni l’ambasciatore ha fatto sentire la sua voce  in tv e tramite le agenzie, ma in Italia si sa poco del suo passato.
Noi oggi, basandoci su alcune fonti in lingua inglese reperibili in rete, cercheremo di colmare questo vuoto informativo.
Naor Gilon è considerato uno dei maggiori esperti di questioni Iraniane all’interno del corpo diplomatico israeliano. La sua (non aggiornata) pagina di wikipedia inglese ci informa che è entrato nel corpo diplomatico israeliano nel 1989, ha lavorato nelle ambasciate in Ungheria, all’Onu come consulente del presidente del Consiglio Israeliano, fino a ricoprire la carica di capo della divisione militare-strategica del Ministero degli esteri Israeliano.
Dal 2002 Naor Gilon è in America per ricoprire la prestigiosa carica di consigliere per gli affari politici all’ambasciata Israeliana a Washington. Un posto chiave, un punto di riferimento e di raccordo per i lobbysti americani e per i loro contatti con lo stato di Israele.
E’ sarà proprio l’attività della più potente “israel-lobby” americana, l’AIPAC, a mettere (temporaneamente) nei guai il nostro Naor Gilon.
Nel 2004 la CBS News diffuse la notizia di un’indagine dell’ FBI su una presunta spia israeliana negli apparati di potere militare americani.
Quella che è rimasta nella storia come lo scandalo Franklin, o AIPAC espionage scandal è stata una pagina tormentata dei rapporti recenti tra Israele e Stati Uniti, ma che si è conclusa con un nulla di fatto e con il perdono definitivo di tutte le presunte spie israeliane da parte dell’apparato di potere USA.
In breve, Lawrence Franklin, un analista del Dipartimento di Stato, si sarebbe impossessato di documenti americani riservatissimi* al fine di girarli ad esponenti del governo israeliano.
Secondo l’indagine dell’FBI e del Pentagono, uno dei diplomatici israeliani a cui Franklin si rivolse fu proprio l’ambasciatore Naor Gilon, tramite il solito Michael Ledeen, amico e sostenitore di Marco Carrai, il regista della candidatura di Matteo Renzi.
Israele è un alleato degli Stati Uniti, quindi i diplomatici se la sono cavata con qualche morbida inchiesta interna. Se invece di lavorare per Israele le spie avessero lavorato per il Venezuela, o l’Iran o Cuba, probabilmente le accuse non sarebbero crollate così presto.
Nel 1986 un caso simile si concluse con pene molto più pesanti, basti pensare che Johnatan Pollard è ancora in carcere per aver passato segreti nucleari ad alti esponenti della Difesa Israeliana. I protagonisti dello scandalo del 2004, come Gilon, la fecero franca.
In ogni caso, questo scandalo pur non avendo avuto ripercussioni giudiziare sui diplomatici israeliani (alcuni esponenti di spicco dei neocon Americani hanno dovuto comunque affrontare il giudice, pezzi grossi del calibro di Richard Perle e Paul Wolfowitz), ha costretto Gilon a lasciare prudentemente gli Stati Uniti.
Così si spiega il suo approdo all’Ambasciata Israeliana a Roma.

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*(Per gli americani il problema è che , pur essendo il prinicpale alleato, Israele è molto attivo nel commercio di armi sofisticate; queste armi vengono talvolta vendute dal governo o da mediatori israeliani a potenze nemiche degli Stati Uniti, come Russia e Cina)

Contro il discorso neocon: piccola confutazione di un articolo di Christian Rocca

Ciò che vi proponiamo oggi è un modesto (ma non umile) tentativo di smontare le tesi presentate dal giornalista Christian Rocca nella sua prefazione ad un saggio di Paul Berman apparso su IL, magazine del Sole24ore .
Non siamo i primi che si cimentano nel glossare un testo neoconservatore e/o xenofobo. A questo link potete trovare una dissacrante e divertente demolizione dei deliri razzisti di Oriana Fallaci compiuta un decennio fa da Miguel Martinez e Lisa Maccari; Daniele Luttazzi nei suoi libri smonta pezzo per pezzo la retorica di Giuliano Ferrara su temi come l’aborto e Renato Farina, due temi per certi versi simili.
Noi non ci sentiamo affatto superiori nè a chi ci ha preceduto nè al bersaglio della nostra critica, Christian Rocca, che il giornalista lo sa pure fare, ha una buona vis polemica (altrimenti non sarebbe un Moggiano di ferro) e conosce come pochi altri (in Italia e in Europa) gli uomini e le donne della politica e del giornalismo statunitensi.
Se tentiamo di confutare le sue tesi è perchè non le accettiamo. Non vogliamo vivere nel terrore e non pensiamo che l’ideologia islamista sia il nostro vero problema. Soprattutto, al contrario di Rocca, non pensiamo che l’eventuale minaccia sia sottovalutata, anzi pensiamo che l’islamofobia sia piuttosto in aumento nel nostro paese e in Europa. In America è già al massimo da anni.
In corsivo mettiamo il testo di Rocca, che ricopiamo perchè liberamente disponibile online. Ogni nostro commento è preceduto da un trattino tipo questo –

In 1984, George Orwell si era inventato la “Thought Police”, la polizia del pensiero (nella traduzione italiana chiamata la psicopolizia), un espediente narrativo per fornire al sistema totalitario guidato dal Grande Fratello lo strumento di coercizione più invasivo che l’essere umano potesse immaginare e sopportare: il controllo del pensiero ventiquattr’ore su ventiquattro.

Il controllo poliziesco del pensiero significava annullamento del pensiero, cancellazione dell’individuo, schiavitù. «Il Grande Fratello vi guarda», minacciavano le scritte sulle strade di Oceania. I sudditi del regime di conseguenza erano costretti a non pensare. Erano costretti ad annullarsi per evitare guai. «Si doveva vivere (o meglio si viveva, per un’abitudine, che era diventata, infine, istinto) tenendo presente che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto», si legge già alle prime pagine di 1984, assieme a Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler uno dei testi letterari definitivi sul totalitarismo.

Che cosa c’entrano George Orwell e i sistemi totalitari del Novecento con l’ideologia militante dell’Islam radicale e la minaccia alla libertà di pensiero di cui parla questo saggio scritto da Paul Berman?

-eh, infatti, cosa c’entrano?

C’entrano. Oggi, argomenta Berman, l’Islam radicale si è posto l’obiettivo politico di restringere i limiti di ciò che è consentito pensare, sia nella società occidentale sia nel mondo islamico. L’ideologia islamista e le sue squadracce non minacciano soltanto la libertà di espressione, puntano addirittura a controllare la libertà di pensiero. L’Islam radicale si è trasformato nella psicopolizia del romanzo di Orwell. Se non ce ne accorgiamo, avverte Berman, possiamo dire addio società liberale.

-Possiamo, chi? Società liberale, dove?
Ci sembra logico affermare che ogni regime autoritario ha in mente di controllare il pensiero dei suoi cittadini.
Orwell voleva parlare di OGNI regime possibile nel suo futuro. Paragonare il mondo di 1984 a UN QUALSIASI regime totalitario, come sembra fare Rocca, equivale a dire un’ovvietà. o meglio, equivale a dire una cazzata.
Perchè, vedremo più avanti, ‘l’ideologia islamista’ di cui parla Rocca non è al potere in alcuno stato sovrano, quindi è davvero stupido e inutilmente retorico paragonare la psicopolizia di 1984 alla ‘minaccia islamista alla libertà di pensiero’…
..A meno che, ovviamente, Christian Rocca non stia parlando dell’Arabia Saudita, storico alleato americano. Se così fosse, il decennale sostegno alla crudele monarchia saudita renderebbe gli Stati Uniti di Bush (esaltati da Rocca) il più grande Quisling della storia dell’Umanità.
Berman nel suo articolo parla proprio della repressione e della shari’a in Arabia Saudita, quindi sì, incredibilmente Christian Rocca sta sconfessando anni di militanza pro-Bush e si allinea coi Michael Moore più oltranzisti e obesi.

Paul Berman è un intellettuale americano liberal e di sinistra da anni impegnato a spiegare come la battaglia contro l’Islam politico è la diretta continuazione della lotta contro gli altri totalitarismi del Novecento, il nazifascismo e il comunismo. In Terrore e liberalismo (Einaudi, 2004), Berman aveva illuminato con precisione la connessione ideologica tra l’islamismo, il nazionalismo arabo e i movimenti totalitari del ventesimo secolo.

-Sottolineare l’appartenenza politica di Berman è un tentativo molto sottile e raffinato di rafforzare empaticamente l’islamofobia nei lettori di “sinistra” dell’inserto del Sole 24ore su cui è apparso questo articolo. Segniamo anche un punto a favore di Rocca: più avanti nell’articolo eviterà di sottolineare la nota melodrammatica della dichiarata omosessualità di Bruce Bawer.

A poco a poco l’attenzione di Berman si è spostata sugli intellettuali del mondo libero, in particolare quelli che non sono stati capaci di individuare nell’estremismo islamico, e nemmeno nella dittatura nazionalista di Saddam Hussein, la versione moderna della minaccia totalitaria del secolo scorso. Affrontare e contrastare sul piano delle idee questo pericolo, secondo Berman, non è soltanto la cosa giusta da fare, ma quella moralmente doverosa.

-adesso la critica di questa prefazione diventa davvero imbarazzante, imbarazzante da scrivere.
l’ ‘ideologia islamista’ di cui si sta parlando sarebbe quindi quella qaedista o quella baathista? i religiosi o i laici? oppure basta che siano musulmani?
quale delle due è ‘la versione moderna del totalitarismo’ novecentesco?
DI CHE STIAMO PARLANDO, ROCCA?
il tono della frase qui sopra è quello di un professore universitario durante l’esame di Storia del Medio Oriente alla laurea triennale, quando lo studente Rocca Christian, (fuorisede proveniente dalla lontana Alcamo, Virginia) a domanda precisa, balbetta e confonde i regimi nazionalisti laici con un non meglio identificato islamismo, rendendo quindi inutili tutte le parole finora pronunciate. 18, va, che c’è caldo..

Gli intellettuali, ha scritto Berman nel saggio del 2010 intitolato The Flight of Intellectuals (incomprensibilmente non ancora tradotto in italiano), scappano di fronte alla realtà e non assolvono il loro compito che in teoria è quello di spiegare all’opinione pubblica che cosa sta succedendo. I maître à penser occidentali vedono la minaccia di un movimento politico autoritario e totalitario che dice di agire in nome dell’Islam ma, invece di denunciare la barbarie e le intimidazioni, preferiscono fuggire dalle loro responsabilità. Stanno zitti. Rinunciano al loro ruolo. Depotenziano il dibattito. Evitano la discussione. Fanno anche di peggio: accusano i dissidenti e gli spiriti liberi di quelle società, ridicolizzano il loro coraggio. Li disprezzano, anche. Assieme a chiunque prenda le loro difese.

-gli intellettuali scappano? il più potente e famoso quotidiano italiano, il Corriere della Sera, tramite il suo direttore Ferruccio De Bortoli ha spacciato per più di un decennio ormai, e continua a farlo, le idee razziste e violente di Oriana Fallaci, la defunta propagandista razzista che è ancora lontana dall’essere dimenticata dall’ ‘industria culturale’ italiana e mondiale e norvegese..
Fa il finto tonto, Rocca? O è disinformato? O pensa che Ferruccio De Bortoli non sia un mâitre à penser?

Non è stato sempre così. Nel 1989, il mondo intellettuale si è schierato con Salman Rushdie, quando lo scrittore è stato condannato a morte dalla fatwa religiosa emanata dall’ayatollah iraniano Khomeini, ma allora non era ancora evidente la capacità di intimidazione dell’Islam politico. In nome della libertà di espressione, durante il caso Rushdie le guide morali del mondo libero si sono mobilitate a favore dell’autore dei Versi satanici. I Rushdie dei nostri giorni – da Ayaan Hirsi Ali a Ibn Warraq – sono meno fortunati. Vengono liquidati come personaggi insignificanti, ignoranti, non rappresentativi. Non valgono quanto i leader del movimento islamista che fingono di essere moderati, come Tariq Ramadan.

-Oh, beh, questo vuol dire che Rocca non ritiene Fiamma Nirenstein un’esponente del mondo intellettuale, e qui ci trova d’accordo.
Dicendo questo ci dimostra di non considerare Giuliano Ferrara un intellettuale, o Roberto Saviano, o Giovanni Sartori, tutti pubblicamente critici contro le più dure derive islamiste.
O forse il suo è l’ennesimo trucchetto propagandistico?

Secondo Berman, la ragione di questa fuga degli intellettuali è più semplice di quanto possa sembrare: «Pensano sia meglio stare alla larga da autori che definiscono provocatori, temono sia troppo pericoloso sostenerli, sono intimiditi».

-E tu, Rocca, da giornalista, sei mai andato ad un incontro pubblico dove fosse presente Vittorio Arrigoni, poi ucciso dai tuoi stessi nemici? O lo ritenevi un personaggio ‘provocatorio’ e ‘pericoloso’?

Con la polizia del pensiero a vigilare, l’intimidazione e la paura diventano sentimenti decisamente più efficaci della rabbia e dell’orgoglio di chi denuncia l’oppressione e l’intolleranza. La nuova riflessione di Berman, contenuta in questo saggio pubblicato da IL in esclusiva italiana, si concentra su un rischio apparentemente lontano per la società aperta, ma che in realtà è più pericoloso e attuale degli atti di violenza terroristica. Un pericolo di tipo orwelliano.

Berman non è solo in questa battaglia. L’editorialista dell’Observer britannico, Nick Cohen, su questo tema ha scritto un saggio dal titolo You Can’t Read This Book (dedicato a Christopher Hitchens, uno che dal caso Rushdie fino al suo ultimo giorno di vita non si è mai dato alla fuga). Cohen sostiene che non è vero che stiamo vivendo un’epoca di libertà senza precedenti, come si usa dire con un pizzico di ingenuità. Chi offende la religione musulmana, anche solo con una vignetta o con un romanzo, mette a rischio la propria vita. Il risultato diretto è l’autocensura, la fine della società aperta. A vigilare che tutto vada secondo i precetti ideologici c’è la polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale.

-Polizia del pensiero? vi sembra che Forattini o Stefano Disegni o Vincino non abbiano mai pubblicato vignette contro l’islam radicale?
Daniela Santanchè è stata libera di bestemmiare in diretta tv contro il profeta Maometto, e la sua testa è ancora saldamente (chirurgicamente?) attaccata alle spalle. Tra l’altro, le oscenità da lei urlate in quell’occasione contro l’indifeso Maometto POTREBBERO DIRSI UGUALMENTE di san Giuseppe, ma nessuno lo farebbe mai in tv. Autocensura? Polizia del pensiero?
Qualsiasi predicatore della sua amata America è libero di bruciare il Corano senza pericolo (a meno che non passi un mujahidin in skateboard a rubarglielo, esponente del gruppo salafita dei Martiri di Tony Hawk).
I suoi amati marines sono liberi di invadere un paese, fare morti e prigionieri, sequestrare nelle carceri i libri sacri e bruciarli. Per poi gridare al pericolo islamista e alla polizia del pensiero se qualcuno osa avere da ridire.
Chi bombarda i civili da aerei senza pilota e brucia i libri sacri è abbastanza orwelliano per te, oppure il fatto che goda delle fondamentali libertà di fumetto e pornografia lo rende meno orwelliano?
Hai un orwellometro?

Bruce Bawer, scrittore americano in trasferta in Norvegia, definisce «nuovi Quisling» quegli intellettuali occidentali che si oppongono al dibattito sul totalitarismo musulmano e cercano di controllare la conversazione sull’Islam in modo che non offenda i suoi principi ideologici. “Nuovi Quisling” è un insulto feroce.

-sarà un insulto feroce, ma è abbastanza simile alle tesi di Breivik stesso, il quale sicuramente nel suo lussuoso carcere  leggerà e apprezzerà il testo di Berman di cui Rocca fa la prefazione. Non conosciamo l’opinione di Breivik su Quisling, ma conosciamo le sue idee sull’insidiarsi dell’ideologia islamista in europa, e avendole lette possiamo dirvi che non si discostano molto dalle idee di Rocca e di Berman.
Inoltre, le metafore e le similitudini con la Seconda Guerra Mondiale sono un abusato cavallo di battaglia retorico dei neocon. un cavallo zoppo, secondo noi, visto che la reductio ad hitlerum et similia  sta via via perdendo la sua potenza, e con essa tutti i riferimenti a Quisling, o tutte le metafore con la conferenza di Monaco che simboleggerebbe la codardia occidentale di fronte alla minaccia del giorno. (mai hanno parlato di Hiroshima, curiosamente.)

Vidkun Quisling è stato il gerarca fascista norvegese che ha governato il suo Paese con il pugno di ferro per conto dei nazisti. Quisling, insomma, è il simbolo del collaborazionismo con il male assoluto. In The New Quislings: How the International Left Used the Oslo Massacre to Silence Debate About Islam, appena pubblicato da Harper Collins ed edito da Adam Bellow, il figlio di Saul, Bawer ha replicato con veemenza a chi ha strumentalizzato la lucida follia assassina di Anders Breivik, il massacratore locale dei ragazzi di Oslo, per delegittimare i pochi critici dell’ideologia islamista.

Gli articoli di Bawer sono stati citati nel lungo e delirante manifesto lasciato da Breivik e, per questo, con una dose eccessiva di cinismo sono stati successivamente collegati all’azione omicida del solitario assassino norvegese. Da qui la passione personale, talvolta scomposta, di Bawer nel rilanciare attaccando chi ha approfittato di una strage di adolescenti per silenziare il dibattito sull’Islam.

-Abbiamo già detto che se un Quisling c’è, è G.W. Bush, col suo sostegno alla psicopolizia saudita, ma un attimo… il manifesto di Breivik è delirante? Come delirante? Breivik cita Oriana Fallaci, come fanno Rocca e Wilders e Bawer e Berman. Breivik cita Bawer, come lo cita Rocca.
Le sue azioni sono deliranti, se volete, ma se il discorso di Breivik è delirante, allora anche il discorso di Rocca è delirante.
La differenza fra Rocca e Breivik è che quest’ultimo ha ucciso di persona decine di giovani innocenti, mentre il primo naturalmente non hai mai fatto male a una mosca e ha sostenuto coi suoi articoli alcune vaste operazioni militari.
Per il resto, la pensano più o meno allo stesso modo su diversi argomenti. Ad esempio, poco prima avete letto che Rocca ha scritto della ..polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale; una tesi del genere è quasi identica a quelle sostenute da Breivik nel suo debordante manifesto d’intenti multimediale, quando parla della political correctness (che impedisce di demonizzare l’islam) come forma di evoluzione del marxismo culturale, quindi sostanzialmente un segno della debolezza degli intellettuali contemporanei di fronte all’islam. Tesi di Bawer, con ogni probabilità…

Il saggio di Paul Berman è più sereno, sine ira ac studio, senza ira né pregiudizi, ma il punto di arrivo è lo stesso: la società aperta non si può permettere di ignorare la campagna globale islamista per la limitazione della libertà di pensiero attraverso l’intimidazione.

-Christian Rocca, e questo gli va riconosciuto, da quando Obama è diventato presidente ha aggiornato i lettori del suo blog riguardo ogni mossa ‘alla Bush’ da parte di Barack H. Obama, cose tipo bombardamenti, mancata chiusura di Guantanamo, aumento dei budget militari, ricerche sperimentali su nuove armi, raid aerei in paesi come Somalia e Pakistan..cose ‘alla Bush’ secondo Rocca e anche secondo noi. Il suo tentativo, riuscitissimo secondo noi, era quello di mostrare a tutti gli enthusiasts italiani del Nobel per la Pace Obama che la sua politica estera era uguale a quella di Bush, se non più aggressiva.
Con una mossa davvero simpatica e incisiva, queste notizie venivano presentate sotto l’elaborazione grafica di un volto con le sembianze di Bush E di Obama insieme, con l’ammiccante titolo that’s right.


Ora, tutte queste campagne militari cominciate da Bush e continuate da Obama si inscrivono in una una vera e propria Campagna Globale, per parafrasare la prefazione.
Se Rocca volesse davvero capire i motivi della forza di una non ben definita ‘campagna globale islamista’, dovrebbe interrogarsi sulla portata intimidatoria e sulla capacità di fuoco della campagna globale militare americana, che va avanti da più di un decennio e che Rocca ci ha raccontato in questi anni, anni in cui il suo sostegno giornalistico alla guerra americana non è mai venuto meno.

p.s.

Leggetevi, se ce la fate, l’articolo di Berman da cui la prefazione. Ci piacerebbe commentarlo ma per ora non abbiamo il tempo. Vi anticipiamo solo che Berman definisce Magdi Allam moralmente scrupoloso.

Le manovre alla Belsito di Karl Rove

Conoscete Karl Rove? E’ una specie di pubblicitario della politica americana, di fede repubblicana. Ha curato per anni l’immagine di Bush.
A lui dobbiamo l’immortale sequenza in split-screen in cui, per un video elettorale, si presentava da un lato Gesù e dall’altro George W. Bush, come a paragonare i due personaggi.
Karl Rove continua in questo suo onesto mestiere ancora oggi.
Ed è notizia di questi giorni l’inchiesta da parte della Federal Election Commission (FEC) riguardo il modulo delle tasse presentato dall’agenzia di Karl Rove, la Crossroads Grassroots Policy Strategies. Quello che leggerete è una specie di traduzione e riassunto e volgarizzazione e commento dell’articolo linkato dall’Huffington Post.
Le tasse in America si pagano, e chi le evade va in carcere con lo stigma della comunità, il contrario del nostro bello stivalone.
E se in America c’è qualcos’altro che fa infuriare il pubblico più di ogni altra cosa sono le organizzazioni benefiche fasulle.
L’America è un posto pieno di raccolte fondi per questo o quel gruppo.
Detto questo, la posizione della Grassroots e di Karl Rove non sarebbe delle migliori: avrebbero finto di essere una organizzazione no-profit per pagare meno tasse, pur non avendone i requisiti.
La FEC ha fatto notare che non si può definire no-profit una società come la Crossroads, che raccoglie fondi per mandare in onda spot elettorali in cui gli avversari, nel caso specifico il senatore democratico della Virginia Ted Kain, vengono dipinti come ” partigiani cheerleader di Obama “.

Se la Crossroads non ammette di essere una organizzazione politica, oltre che per risparmiare dollari di tasse, il motivo è anche un altro: definendosi una grassroots advocacy organization Rove non è obbligato a rivelare al pubblico i nomi di coloro che lo sostengono economicamente, garantendo così l’anonimato ai donatori milionari, cosa che per le organizzazioni di supporto politico non sarebbe permessa.
Qual è il trucchetto usato da Rove?
Gli basta non usare nelle pubblicità le parole votate pervotate contro; “elect” e “vote against”
Basta inserire all’interno degli ads qualche proclama generico, del tipo il candidato dovrebbe esprimersi su questo o quel tema, per non venire classificati come spot elettorale ma come messaggio sociale. Una pratica adottata da più o meno tutte le organizzazioni simili per pagare meno tasse e non essere costretti a rivelare i nomi dei finanziatori.
Proviamo a fare un esempio:

votate contro il candidato democratico Karabotsos! sarebbe uno spot elettorale, quindi si pagarebbero molte tasse.
invece,
il candidato democratico Karabotsos ha divorziato dalla prima moglie e ora si dichiara omosessuale: cosa ha da dire sulle fiamme che lo avvolgeranno nell’inferno, Levitico 18-22? questo sarebbe un messaggio sociale che permetterebbe di risparmiare sulle tasse.

Da notare che le inchieste su Rove sono state svolte dalla FEC, la commissione di controllo elettorale, e non dalla IRS, la agenzia delle entrate, coloro che hanno materialmente ricevuto il modulo delle tasse incriminato.

In ogni caso, Rove può dormire tranquillo: i risultati dell’indagine non si avranno prima delle elezioni presidenziali 2012, elezioni nelle quali la Crossroads Grassroots Policy Strategies conta di spendere 300 milioni di dollari per far eleggere il candidato repubblicano alla Casa Bianca.

Protetto: Christian Rocca cambia idea sulla carta stampata

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Se la guerra di Bush venne spinta da Libero e Il Giornale, la guerra di Obama verrà spinta da repubblica.it. Giuseppe D’avanzo è morto troppo presto.

quest’articolo è stato scritto circa un mese e mezzo fa e vede la luce sulla rete soltanto adesso. il riferimento al presunto terrorista iraniano è una “notizia” che occupò le prime pagine dei giornali e telegiornali mondiali per un paio di giorni, e oggi, ad appena un mese e mezzo di distanza, nessuno se ne ricorda più.

“La primavera nascosta di Teheran
viaggio nella rivoluzione senza voce

Complotto, Obama: “Nessuna opzione esclusa”
Reportage. Abbigliamento occidentale, parabole, cinema: il regime ha aumentato la pressione, ma i giovani credono nel cambiamento. Casa Bianca dura dopo la scoperta del piano per uccidere l’ambasciatore saudita di V. VANNUCCINI”

[http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/14/news/proteste_iran-23195858/?ref=HREC2-1]

alcuni abiti di behnaz sarafpour

Sta cominciando il branding di una possibile guerra all’Iran, anche in Italia. Il recente discorso neocon del candidato repubblicano Mitt Romney potrebbe aver spinto lo staff presidenziale a cercare di riappropriarsi di quella parte dell’elettorato che vuole un America forte nelle relazioni internazionali, e che non intende rassegnarsi alla perdita di centralità globale che gli Stati Uniti sono destinati a subire.
Il semi-serio caso del venditore di macchine usate-guardia della rivoluzione che avrebbe contattato i narcotrafficanti messicani Zetas (!) per colpire obiettivi sauditi e israeliani sul suolo americano e argentino (deja vu..) sembrerebbe poter essere la miccia giusta per una campagna persiana, e piano piano anche i media italiani “portano la loro pietruzza alla causa” della guerra di Barack Hussein Obama.
Repubblica.it parla di “primavera nascosta”, che si esprimerebbe attraverso parabole e abbigliamento occidentale. Ci si riferisce a coloro che guardano gli stessi programmi e si vestono come i lettori di un grande quotidiano di una qualsiasi metropoli occidentale, e che in Iran sono una minoranza che non vota il partito di Ahmadinejad. Nell’occhiello , si passa dai vestiti degli iraniani alla preoccupzione di Obama in sole due righe. Effettivamente, se realmente fosse così, a Mahmoud Ahmadinejad basterebbe organizzare una “Tehran fashion week” da tenersi tra quelle di Milano e New York.
Ma il democraticamente eletto leader iraniano sembra interessarsi più allo scopo di irrobustire lo status di potenza locale che non alla collezione autunno-inverno di Behnaz Sarafpour, e secondo Repubblica sarebbe questa la vera causa di tale irrigidimento diplomatico.

mahmoud ahmadinejad

Se davvero Obama dovesse, in un disperato tentativo per la rielezione, dichiarare guerra all’Iran, già da adesso sappiamo che Repubblica farà il suo. Giuseppe D’avanzo è morto troppo presto.
Ma se Obama dichiarerà guerra, questa sarà devastante dieci volte più di quella irachena.