Contro il discorso neocon: piccola confutazione di un articolo di Christian Rocca

Ciò che vi proponiamo oggi è un modesto (ma non umile) tentativo di smontare le tesi presentate dal giornalista Christian Rocca nella sua prefazione ad un saggio di Paul Berman apparso su IL, magazine del Sole24ore .
Non siamo i primi che si cimentano nel glossare un testo neoconservatore e/o xenofobo. A questo link potete trovare una dissacrante e divertente demolizione dei deliri razzisti di Oriana Fallaci compiuta un decennio fa da Miguel Martinez e Lisa Maccari; Daniele Luttazzi nei suoi libri smonta pezzo per pezzo la retorica di Giuliano Ferrara su temi come l’aborto e Renato Farina, due temi per certi versi simili.
Noi non ci sentiamo affatto superiori nè a chi ci ha preceduto nè al bersaglio della nostra critica, Christian Rocca, che il giornalista lo sa pure fare, ha una buona vis polemica (altrimenti non sarebbe un Moggiano di ferro) e conosce come pochi altri (in Italia e in Europa) gli uomini e le donne della politica e del giornalismo statunitensi.
Se tentiamo di confutare le sue tesi è perchè non le accettiamo. Non vogliamo vivere nel terrore e non pensiamo che l’ideologia islamista sia il nostro vero problema. Soprattutto, al contrario di Rocca, non pensiamo che l’eventuale minaccia sia sottovalutata, anzi pensiamo che l’islamofobia sia piuttosto in aumento nel nostro paese e in Europa. In America è già al massimo da anni.
In corsivo mettiamo il testo di Rocca, che ricopiamo perchè liberamente disponibile online. Ogni nostro commento è preceduto da un trattino tipo questo –

In 1984, George Orwell si era inventato la “Thought Police”, la polizia del pensiero (nella traduzione italiana chiamata la psicopolizia), un espediente narrativo per fornire al sistema totalitario guidato dal Grande Fratello lo strumento di coercizione più invasivo che l’essere umano potesse immaginare e sopportare: il controllo del pensiero ventiquattr’ore su ventiquattro.

Il controllo poliziesco del pensiero significava annullamento del pensiero, cancellazione dell’individuo, schiavitù. «Il Grande Fratello vi guarda», minacciavano le scritte sulle strade di Oceania. I sudditi del regime di conseguenza erano costretti a non pensare. Erano costretti ad annullarsi per evitare guai. «Si doveva vivere (o meglio si viveva, per un’abitudine, che era diventata, infine, istinto) tenendo presente che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto», si legge già alle prime pagine di 1984, assieme a Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler uno dei testi letterari definitivi sul totalitarismo.

Che cosa c’entrano George Orwell e i sistemi totalitari del Novecento con l’ideologia militante dell’Islam radicale e la minaccia alla libertà di pensiero di cui parla questo saggio scritto da Paul Berman?

-eh, infatti, cosa c’entrano?

C’entrano. Oggi, argomenta Berman, l’Islam radicale si è posto l’obiettivo politico di restringere i limiti di ciò che è consentito pensare, sia nella società occidentale sia nel mondo islamico. L’ideologia islamista e le sue squadracce non minacciano soltanto la libertà di espressione, puntano addirittura a controllare la libertà di pensiero. L’Islam radicale si è trasformato nella psicopolizia del romanzo di Orwell. Se non ce ne accorgiamo, avverte Berman, possiamo dire addio società liberale.

-Possiamo, chi? Società liberale, dove?
Ci sembra logico affermare che ogni regime autoritario ha in mente di controllare il pensiero dei suoi cittadini.
Orwell voleva parlare di OGNI regime possibile nel suo futuro. Paragonare il mondo di 1984 a UN QUALSIASI regime totalitario, come sembra fare Rocca, equivale a dire un’ovvietà. o meglio, equivale a dire una cazzata.
Perchè, vedremo più avanti, ‘l’ideologia islamista’ di cui parla Rocca non è al potere in alcuno stato sovrano, quindi è davvero stupido e inutilmente retorico paragonare la psicopolizia di 1984 alla ‘minaccia islamista alla libertà di pensiero’…
..A meno che, ovviamente, Christian Rocca non stia parlando dell’Arabia Saudita, storico alleato americano. Se così fosse, il decennale sostegno alla crudele monarchia saudita renderebbe gli Stati Uniti di Bush (esaltati da Rocca) il più grande Quisling della storia dell’Umanità.
Berman nel suo articolo parla proprio della repressione e della shari’a in Arabia Saudita, quindi sì, incredibilmente Christian Rocca sta sconfessando anni di militanza pro-Bush e si allinea coi Michael Moore più oltranzisti e obesi.

Paul Berman è un intellettuale americano liberal e di sinistra da anni impegnato a spiegare come la battaglia contro l’Islam politico è la diretta continuazione della lotta contro gli altri totalitarismi del Novecento, il nazifascismo e il comunismo. In Terrore e liberalismo (Einaudi, 2004), Berman aveva illuminato con precisione la connessione ideologica tra l’islamismo, il nazionalismo arabo e i movimenti totalitari del ventesimo secolo.

-Sottolineare l’appartenenza politica di Berman è un tentativo molto sottile e raffinato di rafforzare empaticamente l’islamofobia nei lettori di “sinistra” dell’inserto del Sole 24ore su cui è apparso questo articolo. Segniamo anche un punto a favore di Rocca: più avanti nell’articolo eviterà di sottolineare la nota melodrammatica della dichiarata omosessualità di Bruce Bawer.

A poco a poco l’attenzione di Berman si è spostata sugli intellettuali del mondo libero, in particolare quelli che non sono stati capaci di individuare nell’estremismo islamico, e nemmeno nella dittatura nazionalista di Saddam Hussein, la versione moderna della minaccia totalitaria del secolo scorso. Affrontare e contrastare sul piano delle idee questo pericolo, secondo Berman, non è soltanto la cosa giusta da fare, ma quella moralmente doverosa.

-adesso la critica di questa prefazione diventa davvero imbarazzante, imbarazzante da scrivere.
l’ ‘ideologia islamista’ di cui si sta parlando sarebbe quindi quella qaedista o quella baathista? i religiosi o i laici? oppure basta che siano musulmani?
quale delle due è ‘la versione moderna del totalitarismo’ novecentesco?
DI CHE STIAMO PARLANDO, ROCCA?
il tono della frase qui sopra è quello di un professore universitario durante l’esame di Storia del Medio Oriente alla laurea triennale, quando lo studente Rocca Christian, (fuorisede proveniente dalla lontana Alcamo, Virginia) a domanda precisa, balbetta e confonde i regimi nazionalisti laici con un non meglio identificato islamismo, rendendo quindi inutili tutte le parole finora pronunciate. 18, va, che c’è caldo..

Gli intellettuali, ha scritto Berman nel saggio del 2010 intitolato The Flight of Intellectuals (incomprensibilmente non ancora tradotto in italiano), scappano di fronte alla realtà e non assolvono il loro compito che in teoria è quello di spiegare all’opinione pubblica che cosa sta succedendo. I maître à penser occidentali vedono la minaccia di un movimento politico autoritario e totalitario che dice di agire in nome dell’Islam ma, invece di denunciare la barbarie e le intimidazioni, preferiscono fuggire dalle loro responsabilità. Stanno zitti. Rinunciano al loro ruolo. Depotenziano il dibattito. Evitano la discussione. Fanno anche di peggio: accusano i dissidenti e gli spiriti liberi di quelle società, ridicolizzano il loro coraggio. Li disprezzano, anche. Assieme a chiunque prenda le loro difese.

-gli intellettuali scappano? il più potente e famoso quotidiano italiano, il Corriere della Sera, tramite il suo direttore Ferruccio De Bortoli ha spacciato per più di un decennio ormai, e continua a farlo, le idee razziste e violente di Oriana Fallaci, la defunta propagandista razzista che è ancora lontana dall’essere dimenticata dall’ ‘industria culturale’ italiana e mondiale e norvegese..
Fa il finto tonto, Rocca? O è disinformato? O pensa che Ferruccio De Bortoli non sia un mâitre à penser?

Non è stato sempre così. Nel 1989, il mondo intellettuale si è schierato con Salman Rushdie, quando lo scrittore è stato condannato a morte dalla fatwa religiosa emanata dall’ayatollah iraniano Khomeini, ma allora non era ancora evidente la capacità di intimidazione dell’Islam politico. In nome della libertà di espressione, durante il caso Rushdie le guide morali del mondo libero si sono mobilitate a favore dell’autore dei Versi satanici. I Rushdie dei nostri giorni – da Ayaan Hirsi Ali a Ibn Warraq – sono meno fortunati. Vengono liquidati come personaggi insignificanti, ignoranti, non rappresentativi. Non valgono quanto i leader del movimento islamista che fingono di essere moderati, come Tariq Ramadan.

-Oh, beh, questo vuol dire che Rocca non ritiene Fiamma Nirenstein un’esponente del mondo intellettuale, e qui ci trova d’accordo.
Dicendo questo ci dimostra di non considerare Giuliano Ferrara un intellettuale, o Roberto Saviano, o Giovanni Sartori, tutti pubblicamente critici contro le più dure derive islamiste.
O forse il suo è l’ennesimo trucchetto propagandistico?

Secondo Berman, la ragione di questa fuga degli intellettuali è più semplice di quanto possa sembrare: «Pensano sia meglio stare alla larga da autori che definiscono provocatori, temono sia troppo pericoloso sostenerli, sono intimiditi».

-E tu, Rocca, da giornalista, sei mai andato ad un incontro pubblico dove fosse presente Vittorio Arrigoni, poi ucciso dai tuoi stessi nemici? O lo ritenevi un personaggio ‘provocatorio’ e ‘pericoloso’?

Con la polizia del pensiero a vigilare, l’intimidazione e la paura diventano sentimenti decisamente più efficaci della rabbia e dell’orgoglio di chi denuncia l’oppressione e l’intolleranza. La nuova riflessione di Berman, contenuta in questo saggio pubblicato da IL in esclusiva italiana, si concentra su un rischio apparentemente lontano per la società aperta, ma che in realtà è più pericoloso e attuale degli atti di violenza terroristica. Un pericolo di tipo orwelliano.

Berman non è solo in questa battaglia. L’editorialista dell’Observer britannico, Nick Cohen, su questo tema ha scritto un saggio dal titolo You Can’t Read This Book (dedicato a Christopher Hitchens, uno che dal caso Rushdie fino al suo ultimo giorno di vita non si è mai dato alla fuga). Cohen sostiene che non è vero che stiamo vivendo un’epoca di libertà senza precedenti, come si usa dire con un pizzico di ingenuità. Chi offende la religione musulmana, anche solo con una vignetta o con un romanzo, mette a rischio la propria vita. Il risultato diretto è l’autocensura, la fine della società aperta. A vigilare che tutto vada secondo i precetti ideologici c’è la polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale.

-Polizia del pensiero? vi sembra che Forattini o Stefano Disegni o Vincino non abbiano mai pubblicato vignette contro l’islam radicale?
Daniela Santanchè è stata libera di bestemmiare in diretta tv contro il profeta Maometto, e la sua testa è ancora saldamente (chirurgicamente?) attaccata alle spalle. Tra l’altro, le oscenità da lei urlate in quell’occasione contro l’indifeso Maometto POTREBBERO DIRSI UGUALMENTE di san Giuseppe, ma nessuno lo farebbe mai in tv. Autocensura? Polizia del pensiero?
Qualsiasi predicatore della sua amata America è libero di bruciare il Corano senza pericolo (a meno che non passi un mujahidin in skateboard a rubarglielo, esponente del gruppo salafita dei Martiri di Tony Hawk).
I suoi amati marines sono liberi di invadere un paese, fare morti e prigionieri, sequestrare nelle carceri i libri sacri e bruciarli. Per poi gridare al pericolo islamista e alla polizia del pensiero se qualcuno osa avere da ridire.
Chi bombarda i civili da aerei senza pilota e brucia i libri sacri è abbastanza orwelliano per te, oppure il fatto che goda delle fondamentali libertà di fumetto e pornografia lo rende meno orwelliano?
Hai un orwellometro?

Bruce Bawer, scrittore americano in trasferta in Norvegia, definisce «nuovi Quisling» quegli intellettuali occidentali che si oppongono al dibattito sul totalitarismo musulmano e cercano di controllare la conversazione sull’Islam in modo che non offenda i suoi principi ideologici. “Nuovi Quisling” è un insulto feroce.

-sarà un insulto feroce, ma è abbastanza simile alle tesi di Breivik stesso, il quale sicuramente nel suo lussuoso carcere  leggerà e apprezzerà il testo di Berman di cui Rocca fa la prefazione. Non conosciamo l’opinione di Breivik su Quisling, ma conosciamo le sue idee sull’insidiarsi dell’ideologia islamista in europa, e avendole lette possiamo dirvi che non si discostano molto dalle idee di Rocca e di Berman.
Inoltre, le metafore e le similitudini con la Seconda Guerra Mondiale sono un abusato cavallo di battaglia retorico dei neocon. un cavallo zoppo, secondo noi, visto che la reductio ad hitlerum et similia  sta via via perdendo la sua potenza, e con essa tutti i riferimenti a Quisling, o tutte le metafore con la conferenza di Monaco che simboleggerebbe la codardia occidentale di fronte alla minaccia del giorno. (mai hanno parlato di Hiroshima, curiosamente.)

Vidkun Quisling è stato il gerarca fascista norvegese che ha governato il suo Paese con il pugno di ferro per conto dei nazisti. Quisling, insomma, è il simbolo del collaborazionismo con il male assoluto. In The New Quislings: How the International Left Used the Oslo Massacre to Silence Debate About Islam, appena pubblicato da Harper Collins ed edito da Adam Bellow, il figlio di Saul, Bawer ha replicato con veemenza a chi ha strumentalizzato la lucida follia assassina di Anders Breivik, il massacratore locale dei ragazzi di Oslo, per delegittimare i pochi critici dell’ideologia islamista.

Gli articoli di Bawer sono stati citati nel lungo e delirante manifesto lasciato da Breivik e, per questo, con una dose eccessiva di cinismo sono stati successivamente collegati all’azione omicida del solitario assassino norvegese. Da qui la passione personale, talvolta scomposta, di Bawer nel rilanciare attaccando chi ha approfittato di una strage di adolescenti per silenziare il dibattito sull’Islam.

-Abbiamo già detto che se un Quisling c’è, è G.W. Bush, col suo sostegno alla psicopolizia saudita, ma un attimo… il manifesto di Breivik è delirante? Come delirante? Breivik cita Oriana Fallaci, come fanno Rocca e Wilders e Bawer e Berman. Breivik cita Bawer, come lo cita Rocca.
Le sue azioni sono deliranti, se volete, ma se il discorso di Breivik è delirante, allora anche il discorso di Rocca è delirante.
La differenza fra Rocca e Breivik è che quest’ultimo ha ucciso di persona decine di giovani innocenti, mentre il primo naturalmente non hai mai fatto male a una mosca e ha sostenuto coi suoi articoli alcune vaste operazioni militari.
Per il resto, la pensano più o meno allo stesso modo su diversi argomenti. Ad esempio, poco prima avete letto che Rocca ha scritto della ..polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale; una tesi del genere è quasi identica a quelle sostenute da Breivik nel suo debordante manifesto d’intenti multimediale, quando parla della political correctness (che impedisce di demonizzare l’islam) come forma di evoluzione del marxismo culturale, quindi sostanzialmente un segno della debolezza degli intellettuali contemporanei di fronte all’islam. Tesi di Bawer, con ogni probabilità…

Il saggio di Paul Berman è più sereno, sine ira ac studio, senza ira né pregiudizi, ma il punto di arrivo è lo stesso: la società aperta non si può permettere di ignorare la campagna globale islamista per la limitazione della libertà di pensiero attraverso l’intimidazione.

-Christian Rocca, e questo gli va riconosciuto, da quando Obama è diventato presidente ha aggiornato i lettori del suo blog riguardo ogni mossa ‘alla Bush’ da parte di Barack H. Obama, cose tipo bombardamenti, mancata chiusura di Guantanamo, aumento dei budget militari, ricerche sperimentali su nuove armi, raid aerei in paesi come Somalia e Pakistan..cose ‘alla Bush’ secondo Rocca e anche secondo noi. Il suo tentativo, riuscitissimo secondo noi, era quello di mostrare a tutti gli enthusiasts italiani del Nobel per la Pace Obama che la sua politica estera era uguale a quella di Bush, se non più aggressiva.
Con una mossa davvero simpatica e incisiva, queste notizie venivano presentate sotto l’elaborazione grafica di un volto con le sembianze di Bush E di Obama insieme, con l’ammiccante titolo that’s right.


Ora, tutte queste campagne militari cominciate da Bush e continuate da Obama si inscrivono in una una vera e propria Campagna Globale, per parafrasare la prefazione.
Se Rocca volesse davvero capire i motivi della forza di una non ben definita ‘campagna globale islamista’, dovrebbe interrogarsi sulla portata intimidatoria e sulla capacità di fuoco della campagna globale militare americana, che va avanti da più di un decennio e che Rocca ci ha raccontato in questi anni, anni in cui il suo sostegno giornalistico alla guerra americana non è mai venuto meno.

p.s.

Leggetevi, se ce la fate, l’articolo di Berman da cui la prefazione. Ci piacerebbe commentarlo ma per ora non abbiamo il tempo. Vi anticipiamo solo che Berman definisce Magdi Allam moralmente scrupoloso.

Giovanni Falcone e la mentalità mafiosa

Fra poche ore sarà il ventesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone; noi vogliamo parlare della mafia, o meglio, dei mafiosi.
Falcone e gli altri giudici palermitani hanno passato letteralmente mesi e anni interi a interrogare mafiosi: alcuni hanno urlato, altri si sono mostrati innocenti fino alla minaccia, altri hanno dato in escandescenza, altri si sono rifiutati di rispondere, chiedendo tuttavia al giudice di “non volergliene”, e infine altri hanno collaborato.
Giovanni Falcone, da persona sicuramente intelligente quale è stata, ha imparato dai mafiosi ad accorciare la distanza fra il dire e il fare, come gli uomini d’onore.
Fratello ricordati che devi morire, ci insegna la Chiesa cattolica. Il catechismo non scritto dei mafiosi suggerisce qualcosa di analogo: il rischio costante della morte, lo scarso valore attribuito alla vita altrui, ma anche alla propria, li costringono a vivere in uno stato di perenne allerta. Spesso ci stupiamo della quantità incredibile di dettagli che popolano la memoria di Cosa Nostra. Ma quando si vive come loro in attesa del peggio si è costratti a raccogliere anche le briciole. Niente è inutile. Niente è frutto del caso. La certezza della morte vicina, tra un attimo, tra una settimana, tra un anno, pervade del senso della precarietà ogni istante della loro vita .
Conoscendo gli uomini d’onore Falcone ha imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate nè incomprensibili. Sono in realtà le logiche del Potere e dello Stato, sempre funzionali a uno scopo.
Giovanni Falcone alla fine è morto perchè ha avuto troppa fiducia nello Stato.
Pensava che la mafia non fosse altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato, e fino all’ultimo era animato da un autentico e maturo senso dello Stato.
Falcone forse aveva capito che lo Stato italiano non aveva veramente intenzione di combattere la mafia. Ma, giorno dopo giorno, aveva maturato comunque l’idea che fosse suo dovere fare il salto di qualità nell’organizzazione della lotta per ottenere risultati significativi.
Vent’anni fa l’attentato, sanguinosa prova che la sua pur scettica fiducia nello Stato non fu ben riposta.

Una donna incinta è una donna grassa?

Domenica scorsa a Roma c’è stata una manifestazione pubblica di persone a cui non basta il fatto di essere in vita e di respirare: sentono il bisogno di scendere in piazza per ribadire il loro sostegno alla vita.
Ci sono altre persone, molte altre persone, che la pensano in maniera opposta: costoro hanno un’altra opinione, pensano che la vita non è un diritto, che la nascita di un essere umano si può impedire quando necessario.

La questione fondamentale è una sola:
quando vedete una donna incinta, voi a cosa pensate?
Chi è contro l’aborto vede una persona viva dotata di ogni diritto costituzionale, che si serve di un altro essere umano (la madre) per venire al mondo.
D’altro canto, chi è a favore dell’aborto vedendo una donna incinta potrebbe essere portato a pensare che si tratti di una persona sovrappeso.


Molti cartelli alla manifestazione di Roma denunciavano il genocidio dell’aborto.
La precisione dei calcoli scientifici di cui i manifestanti sicuramente si saranno serviti li portava a fissare a UN MILIARDO le vittime del genocidio dell’aborto.
Un miliardo di vittime, più di ogni guerra poterono le grucce e la raschiatura medicalmente eseguita.
Possiamo essere sicuri che nessuno dei presenti, capitanati dal sindaco Gianni Alemanno, ha mai nella vita fatto uso di un preservativo.
Mai, nella storia, lo sperma ovvero la dorata progenie di Alemanno ha avuto a raccogliersi nel serbatoio di lattice di un condom, strumenti genocidi demoniaci.
Avete capito? Alemanno va alle manifestazioni per la vita, quindi la notizia è che Gianni Alemanno non ha mai fatto uso di un profilattico.
La pelle del suo pene deve essere liscia e morbida come quella di un bambino.

I FROCI DEVONO SCEGLIERE

(usiamo la parola froci perchè negli Stati Uniti chiunque voglia può insegnare una materia chiamata Queer Studies*, quindi l’espressione “studi dei froci” prima o poi anche in italia diverrà una cattedra universitaria ad Antropologia)

Cosa vogliono i froci?
Vogliono rinchiudersi in famiglie e matrimoni burocratici e chiusi, spingendo per ottenere unioni civili e matrimonio?
O vogliono rimanere una alternativa radicale al modo di vita eterosessuale?
Corradino Mineo ha fatto notare quella che per lui è una ironia contemporanea,
cioè che gli omosessuali italiani, in questo momento, sono il gruppo umano che più spinge verso la famiglia, che più brama il diritto di sancire legalmente i propri rapporti affettivi. Mineo, dialogando con Nichi Vendola su Rainews24, ha sostenuto le sue tesi dicendo che la comunità gay “ha abbandonato la sua visione più libertaria e iconoclasta”, chiedendo la possibilità di mettere su famiglia in maniera più decisa anche rispetto ai lobbysti del family day, eh eh.
Vendola ha risposto che “nessuno più degli omosessuali è visceralmente avvinghiato alla famiglia, sono letteralmente ammammati”.
Wow. se queste stereotipate parole le avesse dette Storace, il giorno dopo Repubblica ci avrebbe riempito pagina 6.
Vendola continua sostenendo che ciò che gli italiani non tollerano sono i vizi privati e le pubbliche virtù, ovvero i politici pro-life in pubblico e pro-shemale in privato.
Al contrario, l’ostentazione di uno stile di vita omosessuale consapevole non verrebbe più visto come un ostacolo alla carriera politica, sembra dirci Vendola.
Ora, ci piacerebbe sapere cosa ne pensano gli omosessuali, soprattutto i froci politicizzati, i queer LGBT.
Perchè questi mezzi lobbysti – mezzi rivoluzionari devono alfine decidersi.
Sostenere il matrimonio, le unioni civli, la burocratizzazione dei sentimenti e dei conti in banca;
oppure rinunciare a tutto questo per sempre, ed esprimere la propria, unica e irripetibile identità incarnata.

Siete davvero disposti a barattare il vostro stile di vita radicalmente alternativo alla realtà che vi opprime, chiedendo in cambio soltanto un certificato comunale, un pugno di parlamentari lobbisti e qualche talk show?
Noi non vogliamo essere inutilmente severi o apocalittici: possiamo immaginare che i pochi teorici italiani del movimento, magari i più scafati e i meno dogmatici, abbiano compreso che il movimento gay/queer/LGBT rischia, col passare degli anni, di rinchiudersi in una spirale di autorappresentazione e lobbysmo.


Concludiamo citando l’immenso Luciano Bianciardi.
Negli ultimi anni della sua vita, da persona intelligente, Bianciardi accettò di tenere una rubrica di posta dei lettori sul Guerin Sportivo.
Erano i primi anni settanta, e in italia si parlava del diritto a divorziare.
Un lettore del Guerin Sportivo chiese a Bianciardi quale fosse la sua posizione sul tema del divorzio.
La risposta fu, come sempre, uno splendido capovolgimento della prospettiva:

La battaglia per il divorzio è una battaglia di retroguardia. La vera battaglia sarebbe quella contro il matrimonio.

Ci sentiamo di indirizzare queste anarchiche parole a tutti i gay che fanno lobby per diventare uguali ai non-froci.

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*Per farvi capire cosa potrebbe succedere nelle Università italiane, vi diamo il link al sito della materia Queer studies (all’interno del corso di laurea in Gender Studies) dell’Università dell’Oregon, una materia che viene presentata come “un’opportunità di seguire un corso che va da Boy George fino alla linguistica color lavanda“. Dategli un’occhiata se vi va, in particolare al feedback lasciato dagli studenti. Travis Prinslow sostiene di essere contento di aver seguito questo corso e di voler diventare un lobbysta LGBT a livello statale, o addirittura, un giorno, a livello federale.
Quanto dovremo aspettare prima che in italia si formi una vera classe dirigente queer, da far crescere magari presso la Aldo Busi School of Politics?

Le manovre alla Belsito di Karl Rove

Conoscete Karl Rove? E’ una specie di pubblicitario della politica americana, di fede repubblicana. Ha curato per anni l’immagine di Bush.
A lui dobbiamo l’immortale sequenza in split-screen in cui, per un video elettorale, si presentava da un lato Gesù e dall’altro George W. Bush, come a paragonare i due personaggi.
Karl Rove continua in questo suo onesto mestiere ancora oggi.
Ed è notizia di questi giorni l’inchiesta da parte della Federal Election Commission (FEC) riguardo il modulo delle tasse presentato dall’agenzia di Karl Rove, la Crossroads Grassroots Policy Strategies. Quello che leggerete è una specie di traduzione e riassunto e volgarizzazione e commento dell’articolo linkato dall’Huffington Post.
Le tasse in America si pagano, e chi le evade va in carcere con lo stigma della comunità, il contrario del nostro bello stivalone.
E se in America c’è qualcos’altro che fa infuriare il pubblico più di ogni altra cosa sono le organizzazioni benefiche fasulle.
L’America è un posto pieno di raccolte fondi per questo o quel gruppo.
Detto questo, la posizione della Grassroots e di Karl Rove non sarebbe delle migliori: avrebbero finto di essere una organizzazione no-profit per pagare meno tasse, pur non avendone i requisiti.
La FEC ha fatto notare che non si può definire no-profit una società come la Crossroads, che raccoglie fondi per mandare in onda spot elettorali in cui gli avversari, nel caso specifico il senatore democratico della Virginia Ted Kain, vengono dipinti come ” partigiani cheerleader di Obama “.

Se la Crossroads non ammette di essere una organizzazione politica, oltre che per risparmiare dollari di tasse, il motivo è anche un altro: definendosi una grassroots advocacy organization Rove non è obbligato a rivelare al pubblico i nomi di coloro che lo sostengono economicamente, garantendo così l’anonimato ai donatori milionari, cosa che per le organizzazioni di supporto politico non sarebbe permessa.
Qual è il trucchetto usato da Rove?
Gli basta non usare nelle pubblicità le parole votate pervotate contro; “elect” e “vote against”
Basta inserire all’interno degli ads qualche proclama generico, del tipo il candidato dovrebbe esprimersi su questo o quel tema, per non venire classificati come spot elettorale ma come messaggio sociale. Una pratica adottata da più o meno tutte le organizzazioni simili per pagare meno tasse e non essere costretti a rivelare i nomi dei finanziatori.
Proviamo a fare un esempio:

votate contro il candidato democratico Karabotsos! sarebbe uno spot elettorale, quindi si pagarebbero molte tasse.
invece,
il candidato democratico Karabotsos ha divorziato dalla prima moglie e ora si dichiara omosessuale: cosa ha da dire sulle fiamme che lo avvolgeranno nell’inferno, Levitico 18-22? questo sarebbe un messaggio sociale che permetterebbe di risparmiare sulle tasse.

Da notare che le inchieste su Rove sono state svolte dalla FEC, la commissione di controllo elettorale, e non dalla IRS, la agenzia delle entrate, coloro che hanno materialmente ricevuto il modulo delle tasse incriminato.

In ogni caso, Rove può dormire tranquillo: i risultati dell’indagine non si avranno prima delle elezioni presidenziali 2012, elezioni nelle quali la Crossroads Grassroots Policy Strategies conta di spendere 300 milioni di dollari per far eleggere il candidato repubblicano alla Casa Bianca.

Lovecraft lo xenofobo e i ripugnanti metallari immigrati

Tantissimi appassionati di letteratura horror e fantasy conoscono E.A. Poe. Molti ancora conoscono ben più di un racconto di H.P. Lovecraft.
Parecchi sanno che quest’ultimo, oltre ad essere stato forse il pioniere e il più efficace sostenitore del concetto di “orrore cosmico” nella pagina horror era anche, nelle parole di Henry Veggian (leader dei Revenant, fenomenale gruppo di culto dell’underground death/thrash americano dei tardi ’80/primi ’90) “un perfetto WASP in ogni suo aspetto: patrizio, snob, e turbato dal fatto che gli immigrati stessero travolgendo il paese”.

La succitata frase proviene dal fulcro di questa piccolissima proposta di riflessione, ovvero un’intervista a Veggian apparsa sulla webzine http://www.nocturnalcult.com. Ma è il caso di fare un salto indietro per capirci meglio.

Parliamo proprio di Lovecraft, l’angelo nero del terrore galattico (di certo lui non gradirebbe tanto l’aggettivo nero), il testimone delle visioni sconcertanti di quello che la critica ha definito il suo personale “New England incubico”.


Il ciclo del Necronomicon, attribuito allo scrittore Abdul Alhazred o “colui che tutto conosce” o “che tutto ha letto”; il suo Pantheon di mostruosità abissali, dead but dreaming nello spazio o negli abissi abominevoli della terra; i suoi racconti brevi, pubblicati periodicamente dal mitico pulp magazine Weird Tales nel primo novecento: o anche il tema degli invasori alieni che si sostituiscono agli esseri umani, come in Through the Gate of the Silver Key. Tutto ciò è stato certamente ampliato e sviluppato nella sua opera, contribuendo a porre le basi per un orrido immaginario fra i più abusati di sempre nel suo genere. E, ça va sans dire, sono stati propri gli innumerevoli gruppi rock e metal, dai tardi anni ’60 in poi, ad attingere a piene mani da questo humus ricchissimo e nerastro. Qualunque appasionato di musica in generale e di musica estrema in particolare a questo punto mi avrebbe già zittito sull’argomento, snocciolando fulgidi esempi come Morbid Angel, Thergothon, Deicide, Electric Wizard, Sanctifier, o tornando ai tardi sixties, Black Widow e manco a dirlo, i letteralissimi H.P. Lovecraft, interessante gruppo psych pop di Chicago.

Dato che non è davvero possibile approfondire pienamente l’argomento fra i pur orrorifici e repellenti flutti del fiumeoreto, torniamo al punto principale della nostra analisi.

Nella foto sopra, il Professor Veggian

Veggian, in passato chitarrista cantante dei Revenant e adesso professore di letteratura comparata alla University of North Carolina, spiega nel corso dell’intervista precedentemente citata di aver sempre avuto una sorta di soddisfazione nel constatare che questo scrittore che odiava gli immigrati e le ‘classi subalterne’ avesse esercitato un’influenza selvaggia su di me e sui miei amici – tutti figli di immigrati per lo più provenienti dalle lower classes. C’è una splendida ironia in ciò, poiché noi siamo quelli che hanno mantenuto in vita le sue opere incuranti del fatto che lui ci incolpasse di aver evocato sulla terra gli orrori dello spazio profondo. In un certo senso, l’unica cosa orrenda che le ‘luride masse’ abbiano mai evocato dallo spazio è proprio H.P. Lovecraft.
L’ultima frase può risultare oscura ma in realtà essa fa luce su un fatto che non ha bisogno di commenti.

Un racconto come The Horror at Red Hook (spaventoso scenario ideale in cui evil-looking foreigners, come li descrisse Lovecraft, diventano emissari mostruosi di una loggia votata alla morte ed alla corruzione) a nulla è servito se, in un successivo momento storico lontano ma vicinissimo sul piano socio-culturale, interi eserciti di musicanti hanno deciso e decidono tuttora di innestare le sue suggestioni nel metabolismo stesso di certi generi musicali, e in particolare di quelli estremi.

Se sono i posteri a fare la fortuna degli scrittori o degli artisti, allora è possibile che Lovecraft stesso, potendo constatare l’attuale stato di salute della sua fama, si riterrebbe fallito come uomo e come narratore. A quanto si desume dalle fonti lui fu particolarmente incline all’ understatement per tutta la vita, certo, ma un razzista come lui forse non avrebbe mai potuto concepire una legge del contrappasso tanto crudele verso la sua memoria e verso le sue visioni reazionarie ed aggressive della società americana.

Possiamo azzardare una simile ipotesi per un Lovecraft post-mortem, ma soprattutto possiamo affermare che senza i foreigners (e chi più di un WASP può essere considerato tale sul suolo americano, e nel senso più intimo del termine?) è praticamente certo il fatto che le sue opere sarebbero state relegate in abissi da Cthulhu/R’lyeh.

la profonda umanità di questa foto

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a cosa vi fa pensare questa immagine?
questi due afghani ai lati e i due americani al centro che posano coi poveri resti di un attentatore suicida.
sembrano dei pescatori, o dei cacciatori che espongono la preda?
a noi fanno pensare ad alcune vecchie cartoline in uso fra le truppe austriache durante la prima guerra mondiale.

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questa cartolina, scelta da karl kraus come immagine d’apertura del capolavoro ‘gli ultimi giorni dell’umanità’, raffigura alcuni soldati e civili austroungarici sorridenti attorno al corpo morto di cesare battisti, l’irredentista italiano di un secolo fa.
l’immagine dall’afghanistan ci ricorda anche le recenti foto di caccia di re juan carlos di spagna.

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con le foto retro dei safari del re borbone quest’immagine afghana condivide il fatto di essere la messa in mostra di un trofeo, la prova fotografica digitale/online della propria abilità.

facebook esiste per questo, e gli esseri umani ne vanno pazzi.

infine, la prima foto sarebbe anche un ottimo spot contro il razzismo.
ci mostra come non esistano barriere razziali o culturali nel compiere i gesti più antichi e naturali del mondo. uccidere, scopare, pregare, esporre le proprie prede, ridere dei morti.
afghani e yankee sorridono insieme compiendo uno dei gesti più antichi della storia umana.

i tre peggiori gruppi rock italiani in attività – Le Luci Del Pan Del Bugo

dopo aver parlato dei tre migliori gruppi rock italiani in attività, ilfiumeoreto vi propone i tre gruppi rock italiani più inutili.
essi sono:
le luci della centrale elettrica;
il pan del diavolo;
bugo.

la nostra scelta è arbitraria, ma motivata. potevamo includere o escludere questo o quel gruppo, tutto questo conta molto poco, davvero. le nostre parole valgono molto poco. se parliamo di questi tre è perchè vediamo un filo conduttore; se questo legame esiste davvero sta a voi dirlo.
questi tre gruppi hanno segnato una evoluzione del gusto musicale ‘alternativo’ dei giovani italiani.
non tanto per ciò che riguarda la musica, quanto i testi.
questi tre gruppi hanno modificato l’estetica dei testi rock italiani;
come hanno fatto? inserendo parole inusuali su musiche prudentemente derivative.
perchè fanno questo?
PER ENTRARE NEL CERVELLO DEGLI ASCOLTATORI.
una canzone normale, con parole normali, non ti rimane in testa, a meno che la melodia o il testo siano particolarmente validi, o almeno memorizzabili.
una canzone mediocre, con parole inusuali, ti rimarrà comunque in testa.
non siamo (purtroppo) dei neuropsichiologi, ma pensiamo che la nostra corteccia cerebrale  produca una qualche sostanza quando riconosciamo una parola come estranea al contesto in cui viene pronunciata.
sarebbe strano vedere la regina elisabetta pronunciare ad alta voce le parole “cock sucker!”. il nostro cervello reagirebbe.
allo stesso modo SUONA STRANO E QUINDI MEMORIZZABILE un termine insolito inserito in un blando contesto cantautoriale. questo è il semplice e innocuo meccanismo.
nel corso dell’articolo faremo moltissimi esempi delle parole con cui bugo, le luci della centrale elettrica e il pan del diavolo si agganciano alle mollezze cerebrali dei giovani ‘alternativi’ italiani.
sono di fatto la versione chic di negramaro e modà, visto che con tutti questi gruppi condividono una ENFASI INUTILE.  cantano in maniera enfatica, ma i loro testi non valgono il pathos con cui vengono recitati.

e se non sono enfatici sono ironici, il che è ancora peggio.
noi sosteniamo che questi tre gruppi hanno (malauguratamente, per moda e/o per sempre) modificato i canoni lirici del rock italiano.
prova ne siano i numerosi epigoni, in primis i cani*, ma anche altri.
ci è capitato di prendere un caffè in un bar con la radio accesa.
un abusato giro armonico era accompagnato da un cantato enfatico, esattamente quell’enfasi inutile su parole inusuali di cui stiamo parlando.
un verso ci colpì in testa, per giorni, non per la sua bellezza, ma per la sua particolare inutilità: l’autore è ‘il cile’ (non scherziamo), e queste sue parole sono la conferma del nostro discorso:

ingoiare una polaroid di carta vetrata .

come si ingoia una polaroid? forse unendo le due estremità, a formare un cilindro da inserire in gola. ma se la polaroid è di carta vetrata? di carta vetrata?

scendiamo quindi nel dettaglio, ma attenzione, non pulitevi le orecchie prima.

le luci della centrale elettrica


già il fatto di avere un nome da gruppo per un cantautore da solo fa venire il prurito alle mani.
vasco brondi è l’essere umano dietro il marchio ‘le luci della centrale elettrica’, un brand che si dispiega in maniera multimediale: blog, libri, cd e concerti.  nel terzetto da noi citato è considerato il più politicizzato, e non si capisce il perchè.
brondi nei suoi versi usa parole strane, tipo  beirut, targhe dispari, futuri anteriori, campo lungo cinematografico, metalmeccanici, scooter scheletrici bruciati, plexiglass .
i suoi fan adorano sentirlo pronunciare parole simili.
vasco, ti abbiamo appena scritto una canzone, cantala!
sono parole tue!

il pan del diavolo


i pan del diavolo sono di palermo, ma potrebbero essere di qualsiasi parte d’italia.
anche loro usano una inutile enfasi su parole e concetti insoliti e/o censurabili. hanno costruito una hit semplicemente recitando con passione la parola pertanto, una canzone cantautoriale che indugia su lemmi insoliti, il solito trucchetto, che vale anche per ciriacouniversità (sappiate che parlare di università al di fuori dell’università è da sfigati o da passoloni, figuriamoci cantare una canzone sul tema). nel nuovo disco parlano di rami di elettroni quindi la situazione non sembra migliorare.
il verso più odioso, più marcatamente detestabile della loro produzione è contenuto nella hit ‘pertanto’.

volevo fare tutto, ma tutto non si può fare

ripetiamo, il tono può essere enfatico o ironico, o entrambe le cose assieme, ma non trova un adeguato contrappeso drammatico nelle parole.
cantano con rabbia, ma in realtà non ti stanno dicendo niente di concreto. e se un messaggio c’è, è quello di arrendersi.
non sorprende che i loro video passino su MTV. tu guardi Jersey Shore e poi ascolti due tuoi coetanei che urlano ‘volevo fare tutto, ma tutto non si può fare’, e ti senti meglio.

bugo
bugo è il più anziano della compagnia, quello che c’è da più tempo, ma non per questo è meglio o peggio degli altri, semplicemente è una prova vivente di questo trend canoro che dà meno valore al significato delle parole e più al suono stesso delle parole, meglio se strane, esagerate o insolite. una moda che deprechiamo, se non si fosse capito.
anche bugo pone enfasi su soggetti inusuali per un cantautore (il sintetizzatore, pasta al burro, gel, oggi è morto spock), ma la cosa che lo rende particolarmente odioso.. beh sono troppe.

-Influenze, ovvero, da quali buchi di culo è uscita questa merda?

l’influenza suprema, comune a tutti e tre è il sopravvalutato rino gaetano, l’unico ‘autonomo’ che la tv italiana poteva permettersi negli anni ’70.
rino gaetano ha cominciato questo filone, nuntereggae più, chinaglia che non può andare al frosinone.. per carità, all’epoca (forse) potevano pure piacere e avere senso, ma ascoltarlo e copiarlo nel 2012 è davvero deprimente.
poi, ogni gruppo aggiunge alla pasta rinogaetaniana una goccia di qualche altro artista famoso: bugo copia beck, i pan del diavolo copiano dal country-blues con una spruzzata di trendyssimo lo-fi, le luci della centrale elettrica copia il peggior elliott smith, pace all’anima sua, almeno è morto giovane, questi altri ci toccherà sorbirceli ancora a lungo.

*i cani sono i consapevoli maestri dell’ arte-di-parlare-di-cose-strane-per-attirare-l’-attenzione-dell’-ascoltatore. leggetevi i loro testi e capirete, addirittura arrivano a citare lo stesso vasco brondi nel testo di una loro canzone! il massimo!

i tre migliori gruppi rock italiani in attività

eccoci qui a parlare di rock italiano.
ilfiumeoreto pensa che, tutto sommato, si possa azzardare un podio dei migliori tre gruppi rock italiani.
la nostra scelta è arbitraria, ma motivata. noi pensiamo che le cose vadano più o meno così:

3.al terzo posto come miglior gruppo rock italiano in attività:
i calibro 35.

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va bene, suonano un funky blues pentatonico molto semplice.
va bene, si ispirano alla musica dei compositori di colonne sonore dei poliziotteschi anni ’70.
va bene, ok. ma per guidare sulla tangenziale sono ideali, e dal vivo sono molto energetici.
dei nostri inviati a bologna ci dicono che alla loro ultima data si sono verificati svenimenti e crisi di vomito come neanche ad un concerto degli exploited.
al concerto dei calibro 35 a palermo, un gruppo strumentale, lo ricordiamo, la gente ha fatto stage diving.
sul raccordo anulare o sulla a32, dal vivo o alla radio, i calibro 35 suonano quello che dicono di essere, e lo fanno particolarmente bene.

2.al secondo posto come miglior gruppo rock italiano in attività:
gli airfish.

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ok, questo blog è palermitano, quindi chiaramente di parte.
ma tutti coloro che in italia (e nel mondo) hanno ascoltato Anarchy in Italy, ultima fatica del consorzio palermitano, sanno che non ci sbagliamo.
anarchy in italy è il disco del ritorno della formazione ‘storica’ per un gruppo che da vent’anni propone musica deviante alle orecchie di un paio di generazioni di alternativi palermitani e mondiali.
se volessimo azzardare un paragone coi conterranei ciprì e maresco, potremmo dire che Anarchy in italy equivale a il ritorno di cagliostro, l’opera ‘commerciale’, esportabile. se ‘varcare la soglia della speranza’ è lo zio di brooklin, Anarchy in italy è il disco per le masse.
ascoltate ‘Primo‘, a nostro avviso uno degli apici del disco.
si apre con i consueti campionamenti che creano la giusta atmosfera, poi un potentissimo riff di chitarra che ricorda i migliori melvins su cui irrompe al minuto 2.55 un assolo di synth progressivo alla emerson lake & palmer featuring germano mosconi. quanta grazia!

1. il miglior gruppo rock italiano in attività:

gli elio e le storie tese.

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non ci sono cazzi, sono ancora loro i migliori. il loro ultimo vero disco, studentessi, è un opus magnum.
potevano fare qualsiasi cosa, e l’hanno fatta.
se frank zappa fosse vissuto qualche anno in più avrebbe probabilmente apprezzato ‘ignudi fra i nudisti’.
suonando un pezzo di Elvis al contrario non sentirete Satana, sentirete le progressioni armoniche rovesciate.
elio e le storie tese, con giorgia, hanno scritto un pezzo copiando il rovescio della melodia di suspicious minds, ultimo malinconico singolo di succeso del re elvis.
se non vi basta questo, ascoltate parco sempione o le magistrali esibizioni televisive, o cercate i rimandi esoterici nelle loro centinaia di canzoni.
per non dire della consapevolezza politica.

p.s.

ci sarebbero in realtà altri due ottimi gruppi italiani che meriterebbero di stare sul podio, ma li escludiamo perchè non li definiremmo tanto rock, quanto piuttosto musica sperimentale/d’avanguardia, pur con solide basi nel rock’n’roll.

questi due gruppi, dai nomi simili, sono

gli Zu

e

gli Zeus!