“I rapporti con il palazzo di Montecitorio nella mia piccola storia privata sono stati a lungo, pur appartenendo al medesimo vecchio rione romano, di antipatica incomunicabilità. Salvo uno spettacolo di carrozze da fiaba per l’inaugurazione della legislatura del 1924, che mandò in visibilio noi ragazzini del Campo Marzio, l’edifico non era per nulla amato, per motivi prevalentemente extrapolitici. Un enorme fumaiolo stava infatti a farci sapere da ottobre ad aprile che gli ospiti del palazzo si tenevano bene al caldo, a differenza di tutti noi delle case adiacenti; con l’aggravante che un odioso pulviscolo si spargeva sulle finestre e sulle terrazze, obbligando spesso le massaie a riportare al bucato la biancheria stesa ad asciugare. Ho sentito più volte persino mia madre, per il resto di una pazienza da santa, brontolare contro i chiacchieroni (mi dispiace, ma in gergo popolare si chiamavano così). Aggiungete l’ostilità inculcatami dall’avvocato Giovanni Conti, deputato repubblicano estromesso dai fascisti, che, accompagnando alla scuola elementare suo figlio Dante e me, definiva severamente gente cattiva gli occupanti la Camera.
A colorire il quadro sopravvenne anche la chiusura politica della grande gelateria della piazza con i suoi divani di velluto rosso, come la prima classe delle Ferrovie dello Stato. Seppi più tardi che si sospettava che i parlamentari buttati fuori dal fascismo vi continuassero a convenire, e non solo per gustare le cassate e gli spumoni del sor Domenico Guardabassi, che venne così messo a terra. Suo figlio fu ridotto a lavorare a ore allo sportello delle scommesse alle Capannelle.”
Giulio Andreotti, “Onorevole, stia zitto”, Edizioni Rizzoli, Milano 1987, pagina 7.