La guerra a Gaza, la Bibbia e Twitter. Pilastri di nuvole, pietre d’argilla e un ebreo che parla come Mussolini

Purtroppo stiamo assistendo ad una nuova fase sanguinosa dello scontro tra Israeliani e Palestinesi.
Se volete capire in che modo è comiciata questa guerra, date un’occhiata a questa timeline.
L’operazione “Pilastro di difesa” (Pillar of defense)  inizialmente, era stata presentata con un nome diverso: Pilastro di Nuvole.
Il riferimento è alla Bibbia, nel Libro dei Numeri, 13-16:
(13) Mosè disse al Signore: «Ma gli Egiziani hanno saputo che tu hai fatto uscire questo popolo con la tua potenza (14) e lo hanno detto agli abitanti di questo paese. Essi hanno udito che tu, Signore, sei in mezzo a questo popolo, e ti mostri loro faccia a faccia, che la tua nube si ferma sopra di loro e che cammini davanti a loro di giorno in una colonna di nubi e di notte in una colonna di fuoco. (15) Ora se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno: (16) Siccome il Signore non è stato in grado di far entrare questo popolo nel paese che aveva giurato di dargli, li ha ammazzati nel deserto.

In Israele la Bibbia viene letta molto più che nel resto dell’ Occidente, perciò la sezione marketing dell’esercito israeliano ha decise di cambiare nome alla sua guerra per venire incontro ai gusti occidentali: così, dall’oscuro “Pilastro di Nuvole” si è arrivati al più comprensibile “Pilastro di Difesa”.

Altri fanno notare che anche Hamas ha deciso di battezzare la sua operazione di difesa “Pietra d’Argilla”. Anch’esso un riferimento sacro tratto dal Corano, precisamente dalla sura numero 105, detta “La Sura dell’Elefante” (Al-Fîl):
1.In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso.
1 Non hai visto come agì il tuo Signore con quelli dell’elefante?
2 Non fece fallire le loro astuzie?
3 Mandò contro di loro stormi di uccelli
4 E lanciando su di loro pietre di argilla indurita.
5 Li ridusse come pula svuotata. 

Come vedete, la guerra si combatte anche così, usando riferimenti a guerre di duemila anni fa.

Tutto ciò avviene anche su Twitter, uno spazio virtuale che serve alle due parti per aumentare il proprio consenso.

E proprio su Twitter un giornalista italiano ha dato il peggio di sè.
Il 15 Novembre David Parenzo per giustificare le bombe su Gaza ha twittato questo ragionamento:
Il grande Yehoshua, idolo dei pacifichisti nostrani, ha detto:” la guerra è inevitabile, Hamas è un nostro nemico” Mettete l’animo in pace.

Nulla di strano, se non fosse che il termine “panciafichisti” è un dispregiativo per “pacifisti”, reso famoso da Mussolini, che così spronava gli italiani a non volere la pace ma a desiderare la guerra.

E’ molto triste vedere che un giornalista ebreo debba ricorrere al linguaggio di Mussolini per giustificare un bombardamento.

E’ un fatto triste, sì, ma ci permette di capire che in guerra tutto è possibile.

War Marketing: le sexy soldatesse israeliane

Internet è piena di banner pubblicitari che invitano a passare le vacanze in Israele.

Fondamentalmente, il ministero del turismo ha due grosse fette di mercato cui rivolgersi qui in Italia (negli Stati Uniti i canali si moltiplicano vista la presenza massiccia di ebrei americani):

1- il turismo religioso, per cui si fa pubblicità tramite le chiese cattoliche che trasportano gruppi di fedeli nei luoghi della Natività di Cristo e negli altri siti sacri al cristianesimo.

2- Il turismo giovanile da spiaggia-discoteca, per cui la pubblicità via Internet sembra essere la miglior soluzione. Tel Aviv, assieme a Beirut, il Cairo e Ramallah è una delle capitali del divertimento della zona. Nelle numerose discoteche sul lungomare si alternano dj tra i più rinomati del mondo per quanto riguarda i generi di musica elettronica chiamati Goa e Trance .

Ieri il Daily Mail ha pubblicato la foto sopra, una soldatessa in bikini che pattuglia una spiaggia israeliana con un grosso mitra a tracolla. Le didascalie e i doppi sensi dell’articolo si sprecano: le curve sono “molto pericolose” e “nessuno si azzarderebbe mai a calpestare il castello di sabbia di questa signorina”.

Già nel 2007 il Ministero degli Esteri aveva promosso una campagna sulle bellezze in divisa dello Tsahal, l’esercito israeliano. Una macchina militare molto esigente, visto che pretende tre anni di servizio militare obbligatorio agli uomini e due alle donne, pena la perdita dei diritti civili e politici.

Secondo voi, perchè la politica israeliana promuove la circolazione di queste immagini?

A noi sembra un raffinato meccanismo mediatico, volto a stimolare la simpatia per Israele in  un determinato settore dell’opinione pubblica.

Chiudiamo proponendovi un video quasi da feticisti delle divise; ovviamente protagoniste sono le belle e disinibite soldatesse di Israele.

Il profilo youtube che ha caricato il video si chiama letteralmente “IDFgirlsRhot”, ossia “le soldatesse israeliane sono bone”. Noi diremmo che, più in generale, “le ragazze israeliane sono bone”, visto che (come le siciliane) sono frutto di un mescolamento di popolazioni euromediterranee, quindi non sorprende che sia in Sicilia sia in Israele si trovino tanti tratti somatici diversi, particolari e affascinanti. Che poi le ragazze siciliane non siano costrette a girare armate, è un altro discorso.

Guerra e capezzoli, lucidalabbra e mitra, effusioni lesbiche ed armi chimiche.

Difficile dare giudizi, o delimitare un confine netto fra il narcisismo digitale di diciottenni in guerra e lo sfruttamento mediatico di un immaginario erotico/militare da parte del potere.

 

Contro il discorso neocon: piccola confutazione di un articolo di Christian Rocca

Ciò che vi proponiamo oggi è un modesto (ma non umile) tentativo di smontare le tesi presentate dal giornalista Christian Rocca nella sua prefazione ad un saggio di Paul Berman apparso su IL, magazine del Sole24ore .
Non siamo i primi che si cimentano nel glossare un testo neoconservatore e/o xenofobo. A questo link potete trovare una dissacrante e divertente demolizione dei deliri razzisti di Oriana Fallaci compiuta un decennio fa da Miguel Martinez e Lisa Maccari; Daniele Luttazzi nei suoi libri smonta pezzo per pezzo la retorica di Giuliano Ferrara su temi come l’aborto e Renato Farina, due temi per certi versi simili.
Noi non ci sentiamo affatto superiori nè a chi ci ha preceduto nè al bersaglio della nostra critica, Christian Rocca, che il giornalista lo sa pure fare, ha una buona vis polemica (altrimenti non sarebbe un Moggiano di ferro) e conosce come pochi altri (in Italia e in Europa) gli uomini e le donne della politica e del giornalismo statunitensi.
Se tentiamo di confutare le sue tesi è perchè non le accettiamo. Non vogliamo vivere nel terrore e non pensiamo che l’ideologia islamista sia il nostro vero problema. Soprattutto, al contrario di Rocca, non pensiamo che l’eventuale minaccia sia sottovalutata, anzi pensiamo che l’islamofobia sia piuttosto in aumento nel nostro paese e in Europa. In America è già al massimo da anni.
In corsivo mettiamo il testo di Rocca, che ricopiamo perchè liberamente disponibile online. Ogni nostro commento è preceduto da un trattino tipo questo –

In 1984, George Orwell si era inventato la “Thought Police”, la polizia del pensiero (nella traduzione italiana chiamata la psicopolizia), un espediente narrativo per fornire al sistema totalitario guidato dal Grande Fratello lo strumento di coercizione più invasivo che l’essere umano potesse immaginare e sopportare: il controllo del pensiero ventiquattr’ore su ventiquattro.

Il controllo poliziesco del pensiero significava annullamento del pensiero, cancellazione dell’individuo, schiavitù. «Il Grande Fratello vi guarda», minacciavano le scritte sulle strade di Oceania. I sudditi del regime di conseguenza erano costretti a non pensare. Erano costretti ad annullarsi per evitare guai. «Si doveva vivere (o meglio si viveva, per un’abitudine, che era diventata, infine, istinto) tenendo presente che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto», si legge già alle prime pagine di 1984, assieme a Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler uno dei testi letterari definitivi sul totalitarismo.

Che cosa c’entrano George Orwell e i sistemi totalitari del Novecento con l’ideologia militante dell’Islam radicale e la minaccia alla libertà di pensiero di cui parla questo saggio scritto da Paul Berman?

-eh, infatti, cosa c’entrano?

C’entrano. Oggi, argomenta Berman, l’Islam radicale si è posto l’obiettivo politico di restringere i limiti di ciò che è consentito pensare, sia nella società occidentale sia nel mondo islamico. L’ideologia islamista e le sue squadracce non minacciano soltanto la libertà di espressione, puntano addirittura a controllare la libertà di pensiero. L’Islam radicale si è trasformato nella psicopolizia del romanzo di Orwell. Se non ce ne accorgiamo, avverte Berman, possiamo dire addio società liberale.

-Possiamo, chi? Società liberale, dove?
Ci sembra logico affermare che ogni regime autoritario ha in mente di controllare il pensiero dei suoi cittadini.
Orwell voleva parlare di OGNI regime possibile nel suo futuro. Paragonare il mondo di 1984 a UN QUALSIASI regime totalitario, come sembra fare Rocca, equivale a dire un’ovvietà. o meglio, equivale a dire una cazzata.
Perchè, vedremo più avanti, ‘l’ideologia islamista’ di cui parla Rocca non è al potere in alcuno stato sovrano, quindi è davvero stupido e inutilmente retorico paragonare la psicopolizia di 1984 alla ‘minaccia islamista alla libertà di pensiero’…
..A meno che, ovviamente, Christian Rocca non stia parlando dell’Arabia Saudita, storico alleato americano. Se così fosse, il decennale sostegno alla crudele monarchia saudita renderebbe gli Stati Uniti di Bush (esaltati da Rocca) il più grande Quisling della storia dell’Umanità.
Berman nel suo articolo parla proprio della repressione e della shari’a in Arabia Saudita, quindi sì, incredibilmente Christian Rocca sta sconfessando anni di militanza pro-Bush e si allinea coi Michael Moore più oltranzisti e obesi.

Paul Berman è un intellettuale americano liberal e di sinistra da anni impegnato a spiegare come la battaglia contro l’Islam politico è la diretta continuazione della lotta contro gli altri totalitarismi del Novecento, il nazifascismo e il comunismo. In Terrore e liberalismo (Einaudi, 2004), Berman aveva illuminato con precisione la connessione ideologica tra l’islamismo, il nazionalismo arabo e i movimenti totalitari del ventesimo secolo.

-Sottolineare l’appartenenza politica di Berman è un tentativo molto sottile e raffinato di rafforzare empaticamente l’islamofobia nei lettori di “sinistra” dell’inserto del Sole 24ore su cui è apparso questo articolo. Segniamo anche un punto a favore di Rocca: più avanti nell’articolo eviterà di sottolineare la nota melodrammatica della dichiarata omosessualità di Bruce Bawer.

A poco a poco l’attenzione di Berman si è spostata sugli intellettuali del mondo libero, in particolare quelli che non sono stati capaci di individuare nell’estremismo islamico, e nemmeno nella dittatura nazionalista di Saddam Hussein, la versione moderna della minaccia totalitaria del secolo scorso. Affrontare e contrastare sul piano delle idee questo pericolo, secondo Berman, non è soltanto la cosa giusta da fare, ma quella moralmente doverosa.

-adesso la critica di questa prefazione diventa davvero imbarazzante, imbarazzante da scrivere.
l’ ‘ideologia islamista’ di cui si sta parlando sarebbe quindi quella qaedista o quella baathista? i religiosi o i laici? oppure basta che siano musulmani?
quale delle due è ‘la versione moderna del totalitarismo’ novecentesco?
DI CHE STIAMO PARLANDO, ROCCA?
il tono della frase qui sopra è quello di un professore universitario durante l’esame di Storia del Medio Oriente alla laurea triennale, quando lo studente Rocca Christian, (fuorisede proveniente dalla lontana Alcamo, Virginia) a domanda precisa, balbetta e confonde i regimi nazionalisti laici con un non meglio identificato islamismo, rendendo quindi inutili tutte le parole finora pronunciate. 18, va, che c’è caldo..

Gli intellettuali, ha scritto Berman nel saggio del 2010 intitolato The Flight of Intellectuals (incomprensibilmente non ancora tradotto in italiano), scappano di fronte alla realtà e non assolvono il loro compito che in teoria è quello di spiegare all’opinione pubblica che cosa sta succedendo. I maître à penser occidentali vedono la minaccia di un movimento politico autoritario e totalitario che dice di agire in nome dell’Islam ma, invece di denunciare la barbarie e le intimidazioni, preferiscono fuggire dalle loro responsabilità. Stanno zitti. Rinunciano al loro ruolo. Depotenziano il dibattito. Evitano la discussione. Fanno anche di peggio: accusano i dissidenti e gli spiriti liberi di quelle società, ridicolizzano il loro coraggio. Li disprezzano, anche. Assieme a chiunque prenda le loro difese.

-gli intellettuali scappano? il più potente e famoso quotidiano italiano, il Corriere della Sera, tramite il suo direttore Ferruccio De Bortoli ha spacciato per più di un decennio ormai, e continua a farlo, le idee razziste e violente di Oriana Fallaci, la defunta propagandista razzista che è ancora lontana dall’essere dimenticata dall’ ‘industria culturale’ italiana e mondiale e norvegese..
Fa il finto tonto, Rocca? O è disinformato? O pensa che Ferruccio De Bortoli non sia un mâitre à penser?

Non è stato sempre così. Nel 1989, il mondo intellettuale si è schierato con Salman Rushdie, quando lo scrittore è stato condannato a morte dalla fatwa religiosa emanata dall’ayatollah iraniano Khomeini, ma allora non era ancora evidente la capacità di intimidazione dell’Islam politico. In nome della libertà di espressione, durante il caso Rushdie le guide morali del mondo libero si sono mobilitate a favore dell’autore dei Versi satanici. I Rushdie dei nostri giorni – da Ayaan Hirsi Ali a Ibn Warraq – sono meno fortunati. Vengono liquidati come personaggi insignificanti, ignoranti, non rappresentativi. Non valgono quanto i leader del movimento islamista che fingono di essere moderati, come Tariq Ramadan.

-Oh, beh, questo vuol dire che Rocca non ritiene Fiamma Nirenstein un’esponente del mondo intellettuale, e qui ci trova d’accordo.
Dicendo questo ci dimostra di non considerare Giuliano Ferrara un intellettuale, o Roberto Saviano, o Giovanni Sartori, tutti pubblicamente critici contro le più dure derive islamiste.
O forse il suo è l’ennesimo trucchetto propagandistico?

Secondo Berman, la ragione di questa fuga degli intellettuali è più semplice di quanto possa sembrare: «Pensano sia meglio stare alla larga da autori che definiscono provocatori, temono sia troppo pericoloso sostenerli, sono intimiditi».

-E tu, Rocca, da giornalista, sei mai andato ad un incontro pubblico dove fosse presente Vittorio Arrigoni, poi ucciso dai tuoi stessi nemici? O lo ritenevi un personaggio ‘provocatorio’ e ‘pericoloso’?

Con la polizia del pensiero a vigilare, l’intimidazione e la paura diventano sentimenti decisamente più efficaci della rabbia e dell’orgoglio di chi denuncia l’oppressione e l’intolleranza. La nuova riflessione di Berman, contenuta in questo saggio pubblicato da IL in esclusiva italiana, si concentra su un rischio apparentemente lontano per la società aperta, ma che in realtà è più pericoloso e attuale degli atti di violenza terroristica. Un pericolo di tipo orwelliano.

Berman non è solo in questa battaglia. L’editorialista dell’Observer britannico, Nick Cohen, su questo tema ha scritto un saggio dal titolo You Can’t Read This Book (dedicato a Christopher Hitchens, uno che dal caso Rushdie fino al suo ultimo giorno di vita non si è mai dato alla fuga). Cohen sostiene che non è vero che stiamo vivendo un’epoca di libertà senza precedenti, come si usa dire con un pizzico di ingenuità. Chi offende la religione musulmana, anche solo con una vignetta o con un romanzo, mette a rischio la propria vita. Il risultato diretto è l’autocensura, la fine della società aperta. A vigilare che tutto vada secondo i precetti ideologici c’è la polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale.

-Polizia del pensiero? vi sembra che Forattini o Stefano Disegni o Vincino non abbiano mai pubblicato vignette contro l’islam radicale?
Daniela Santanchè è stata libera di bestemmiare in diretta tv contro il profeta Maometto, e la sua testa è ancora saldamente (chirurgicamente?) attaccata alle spalle. Tra l’altro, le oscenità da lei urlate in quell’occasione contro l’indifeso Maometto POTREBBERO DIRSI UGUALMENTE di san Giuseppe, ma nessuno lo farebbe mai in tv. Autocensura? Polizia del pensiero?
Qualsiasi predicatore della sua amata America è libero di bruciare il Corano senza pericolo (a meno che non passi un mujahidin in skateboard a rubarglielo, esponente del gruppo salafita dei Martiri di Tony Hawk).
I suoi amati marines sono liberi di invadere un paese, fare morti e prigionieri, sequestrare nelle carceri i libri sacri e bruciarli. Per poi gridare al pericolo islamista e alla polizia del pensiero se qualcuno osa avere da ridire.
Chi bombarda i civili da aerei senza pilota e brucia i libri sacri è abbastanza orwelliano per te, oppure il fatto che goda delle fondamentali libertà di fumetto e pornografia lo rende meno orwelliano?
Hai un orwellometro?

Bruce Bawer, scrittore americano in trasferta in Norvegia, definisce «nuovi Quisling» quegli intellettuali occidentali che si oppongono al dibattito sul totalitarismo musulmano e cercano di controllare la conversazione sull’Islam in modo che non offenda i suoi principi ideologici. “Nuovi Quisling” è un insulto feroce.

-sarà un insulto feroce, ma è abbastanza simile alle tesi di Breivik stesso, il quale sicuramente nel suo lussuoso carcere  leggerà e apprezzerà il testo di Berman di cui Rocca fa la prefazione. Non conosciamo l’opinione di Breivik su Quisling, ma conosciamo le sue idee sull’insidiarsi dell’ideologia islamista in europa, e avendole lette possiamo dirvi che non si discostano molto dalle idee di Rocca e di Berman.
Inoltre, le metafore e le similitudini con la Seconda Guerra Mondiale sono un abusato cavallo di battaglia retorico dei neocon. un cavallo zoppo, secondo noi, visto che la reductio ad hitlerum et similia  sta via via perdendo la sua potenza, e con essa tutti i riferimenti a Quisling, o tutte le metafore con la conferenza di Monaco che simboleggerebbe la codardia occidentale di fronte alla minaccia del giorno. (mai hanno parlato di Hiroshima, curiosamente.)

Vidkun Quisling è stato il gerarca fascista norvegese che ha governato il suo Paese con il pugno di ferro per conto dei nazisti. Quisling, insomma, è il simbolo del collaborazionismo con il male assoluto. In The New Quislings: How the International Left Used the Oslo Massacre to Silence Debate About Islam, appena pubblicato da Harper Collins ed edito da Adam Bellow, il figlio di Saul, Bawer ha replicato con veemenza a chi ha strumentalizzato la lucida follia assassina di Anders Breivik, il massacratore locale dei ragazzi di Oslo, per delegittimare i pochi critici dell’ideologia islamista.

Gli articoli di Bawer sono stati citati nel lungo e delirante manifesto lasciato da Breivik e, per questo, con una dose eccessiva di cinismo sono stati successivamente collegati all’azione omicida del solitario assassino norvegese. Da qui la passione personale, talvolta scomposta, di Bawer nel rilanciare attaccando chi ha approfittato di una strage di adolescenti per silenziare il dibattito sull’Islam.

-Abbiamo già detto che se un Quisling c’è, è G.W. Bush, col suo sostegno alla psicopolizia saudita, ma un attimo… il manifesto di Breivik è delirante? Come delirante? Breivik cita Oriana Fallaci, come fanno Rocca e Wilders e Bawer e Berman. Breivik cita Bawer, come lo cita Rocca.
Le sue azioni sono deliranti, se volete, ma se il discorso di Breivik è delirante, allora anche il discorso di Rocca è delirante.
La differenza fra Rocca e Breivik è che quest’ultimo ha ucciso di persona decine di giovani innocenti, mentre il primo naturalmente non hai mai fatto male a una mosca e ha sostenuto coi suoi articoli alcune vaste operazioni militari.
Per il resto, la pensano più o meno allo stesso modo su diversi argomenti. Ad esempio, poco prima avete letto che Rocca ha scritto della ..polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale; una tesi del genere è quasi identica a quelle sostenute da Breivik nel suo debordante manifesto d’intenti multimediale, quando parla della political correctness (che impedisce di demonizzare l’islam) come forma di evoluzione del marxismo culturale, quindi sostanzialmente un segno della debolezza degli intellettuali contemporanei di fronte all’islam. Tesi di Bawer, con ogni probabilità…

Il saggio di Paul Berman è più sereno, sine ira ac studio, senza ira né pregiudizi, ma il punto di arrivo è lo stesso: la società aperta non si può permettere di ignorare la campagna globale islamista per la limitazione della libertà di pensiero attraverso l’intimidazione.

-Christian Rocca, e questo gli va riconosciuto, da quando Obama è diventato presidente ha aggiornato i lettori del suo blog riguardo ogni mossa ‘alla Bush’ da parte di Barack H. Obama, cose tipo bombardamenti, mancata chiusura di Guantanamo, aumento dei budget militari, ricerche sperimentali su nuove armi, raid aerei in paesi come Somalia e Pakistan..cose ‘alla Bush’ secondo Rocca e anche secondo noi. Il suo tentativo, riuscitissimo secondo noi, era quello di mostrare a tutti gli enthusiasts italiani del Nobel per la Pace Obama che la sua politica estera era uguale a quella di Bush, se non più aggressiva.
Con una mossa davvero simpatica e incisiva, queste notizie venivano presentate sotto l’elaborazione grafica di un volto con le sembianze di Bush E di Obama insieme, con l’ammiccante titolo that’s right.


Ora, tutte queste campagne militari cominciate da Bush e continuate da Obama si inscrivono in una una vera e propria Campagna Globale, per parafrasare la prefazione.
Se Rocca volesse davvero capire i motivi della forza di una non ben definita ‘campagna globale islamista’, dovrebbe interrogarsi sulla portata intimidatoria e sulla capacità di fuoco della campagna globale militare americana, che va avanti da più di un decennio e che Rocca ci ha raccontato in questi anni, anni in cui il suo sostegno giornalistico alla guerra americana non è mai venuto meno.

p.s.

Leggetevi, se ce la fate, l’articolo di Berman da cui la prefazione. Ci piacerebbe commentarlo ma per ora non abbiamo il tempo. Vi anticipiamo solo che Berman definisce Magdi Allam moralmente scrupoloso.

la profonda umanità di questa foto

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a cosa vi fa pensare questa immagine?
questi due afghani ai lati e i due americani al centro che posano coi poveri resti di un attentatore suicida.
sembrano dei pescatori, o dei cacciatori che espongono la preda?
a noi fanno pensare ad alcune vecchie cartoline in uso fra le truppe austriache durante la prima guerra mondiale.

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questa cartolina, scelta da karl kraus come immagine d’apertura del capolavoro ‘gli ultimi giorni dell’umanità’, raffigura alcuni soldati e civili austroungarici sorridenti attorno al corpo morto di cesare battisti, l’irredentista italiano di un secolo fa.
l’immagine dall’afghanistan ci ricorda anche le recenti foto di caccia di re juan carlos di spagna.

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con le foto retro dei safari del re borbone quest’immagine afghana condivide il fatto di essere la messa in mostra di un trofeo, la prova fotografica digitale/online della propria abilità.

facebook esiste per questo, e gli esseri umani ne vanno pazzi.

infine, la prima foto sarebbe anche un ottimo spot contro il razzismo.
ci mostra come non esistano barriere razziali o culturali nel compiere i gesti più antichi e naturali del mondo. uccidere, scopare, pregare, esporre le proprie prede, ridere dei morti.
afghani e yankee sorridono insieme compiendo uno dei gesti più antichi della storia umana.

Se la guerra di Bush venne spinta da Libero e Il Giornale, la guerra di Obama verrà spinta da repubblica.it. Giuseppe D’avanzo è morto troppo presto.

quest’articolo è stato scritto circa un mese e mezzo fa e vede la luce sulla rete soltanto adesso. il riferimento al presunto terrorista iraniano è una “notizia” che occupò le prime pagine dei giornali e telegiornali mondiali per un paio di giorni, e oggi, ad appena un mese e mezzo di distanza, nessuno se ne ricorda più.

“La primavera nascosta di Teheran
viaggio nella rivoluzione senza voce

Complotto, Obama: “Nessuna opzione esclusa”
Reportage. Abbigliamento occidentale, parabole, cinema: il regime ha aumentato la pressione, ma i giovani credono nel cambiamento. Casa Bianca dura dopo la scoperta del piano per uccidere l’ambasciatore saudita di V. VANNUCCINI”

[http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/14/news/proteste_iran-23195858/?ref=HREC2-1]

alcuni abiti di behnaz sarafpour

Sta cominciando il branding di una possibile guerra all’Iran, anche in Italia. Il recente discorso neocon del candidato repubblicano Mitt Romney potrebbe aver spinto lo staff presidenziale a cercare di riappropriarsi di quella parte dell’elettorato che vuole un America forte nelle relazioni internazionali, e che non intende rassegnarsi alla perdita di centralità globale che gli Stati Uniti sono destinati a subire.
Il semi-serio caso del venditore di macchine usate-guardia della rivoluzione che avrebbe contattato i narcotrafficanti messicani Zetas (!) per colpire obiettivi sauditi e israeliani sul suolo americano e argentino (deja vu..) sembrerebbe poter essere la miccia giusta per una campagna persiana, e piano piano anche i media italiani “portano la loro pietruzza alla causa” della guerra di Barack Hussein Obama.
Repubblica.it parla di “primavera nascosta”, che si esprimerebbe attraverso parabole e abbigliamento occidentale. Ci si riferisce a coloro che guardano gli stessi programmi e si vestono come i lettori di un grande quotidiano di una qualsiasi metropoli occidentale, e che in Iran sono una minoranza che non vota il partito di Ahmadinejad. Nell’occhiello , si passa dai vestiti degli iraniani alla preoccupzione di Obama in sole due righe. Effettivamente, se realmente fosse così, a Mahmoud Ahmadinejad basterebbe organizzare una “Tehran fashion week” da tenersi tra quelle di Milano e New York.
Ma il democraticamente eletto leader iraniano sembra interessarsi più allo scopo di irrobustire lo status di potenza locale che non alla collezione autunno-inverno di Behnaz Sarafpour, e secondo Repubblica sarebbe questa la vera causa di tale irrigidimento diplomatico.

mahmoud ahmadinejad

Se davvero Obama dovesse, in un disperato tentativo per la rielezione, dichiarare guerra all’Iran, già da adesso sappiamo che Repubblica farà il suo. Giuseppe D’avanzo è morto troppo presto.
Ma se Obama dichiarerà guerra, questa sarà devastante dieci volte più di quella irachena.