Insulti a Margherita Hack su Wikipedia un minuto dopo l’annuncio della morte

hack-edFiniti gli esami di maturità, gli sbarbatelli stanno a casa a (come dicono a Palermo) minarsela.

Come ottenere qualche minuto di febbrile eccitazione?

Semplice, insultando i morti su wikipedia!

Un saluto a Margherita Hack e un augurio per il suo viaggio di ritorno verso il Nulla Stellare.

Un saluto anche ai pinnoloni che non hanno di meglio da fare nella vita.

Dalla parte di Fabrizio Miccoli

miccoli

La pessima usanza dei giornalisti e dei magistrati italiani di fare uscire in maniera semi-clandestina alcuni stralci di intercettazioni prima della conclusione dei processi ha fatto oggi una vittima illustre: il capitano, uomo-simbolo e recordman di presenze e di gol del Palermo Calcio, uno dei più talentuosi calciatori italiani degli ultimi dieci anni, Fabrizio Miccoli.
Maria Falcone per difendere, giustamente, la memoria del fratello è stata costretta a commentare intercettazioni uscite forse ingiustamente dalla procura di Palermo*,messe in giro con la complicità dei media.
Noi vogliamo difendere il diritto di Miccoli di dire quello che vuole, in privato.
Non ci scandalizziamo se usa l’espressione “ci vediamo davanti all’albero di quel fango di Falcone”, perchè detto fra amici (anche se l’amico è indagato per mafia, di fatto è ancora innocente). Chiunque parli in confidenza con amici può fare battute grevi su argomenti pruriginosi, magari spingendo sul pedale della provocazione.
Poi, sarebbe anche lecito che Miccoli reputi VERAMENTE Falcone “un fango”. Ognuno ha il diritto di esprimere in privato le sue idee su qualsiasi argomento. O, magari, usava un certo tono per ispirare simpatia nell’interlocutore, figlio di un boss.
Il fatto che poi Miccoli dedicasse pubblicamente i suoi gol alla figura di Falcone non dovrebbe essere un’aggravante, anzi, dovrebbe dimostrare che in pubblico Miccoli ha avuto sempre rispetto delle istituzioni e della figura (o meglio, del santino laico) di Falcone, svolgendo il ruolo sociale del “campione-antimafia”, tanto caro agli integralisti dell’antimafia e agli agiografi delle vittime della violenza mafiosa, così interesati alla facciata.
Naturalmente, il coro dei politici ha intasato con lanci di agenzie la mediasfera italiana in questo afoso pomeriggio di inizio estate.
Facebook ha cominciato a macinare pagine e commenti sull’argomento.
Il processo ancora è lontano dalla conclusione, ma il processo mediatico è in pieno svolgimento. I giornalisti, gli avvocati doppiogiochisti e le talpe che dagli uffici della procura decidono cosa fare uscire E soprattutto COSA NON FARE USCIRE delle inchieste ancora in corso, i giornalisti alla Marco Travaglio che vantano rapporti di amicizia con giudici alla moda: questa gente ha creato il caso e ora potrà sguazzarci per settimane.
Il mostro è stato creato e buttato in pasto al popolo.

Vi chiederete: chi vi spinge a pubblicare un articolo del genere, difendendo una persona indagata per reati odiosi e amico e complice di personaggi altrettanto chiacchierati?
Abbiamo scritto questo articolo perchè pensiamo che la difesa dei diritti civili vada messa in campo SOPRATTUTTO in casi come questo: quando i diritti di personaggi negativi rischiano di venire calpestati, la giustizia non può che riceverne un danno di immagine. La tenuta di un sistema democratico si giudica anche dal modo in cui esso rispetta i “delinquenti”. Questo vale per Miccoli, per i boss mafiosi, per Berlusconi e le sue amiche, per Ricucci e Anna Falchi, e per gli estremisti di destra ultras della Lazio che, come Fabrizio Diabolik, hanno passato due anni in carcere in attesa del processo. Una ingiustizia intollerabile in uno Stato cosiddetto democratico, ma che è la triste normalità nelle carceri del Belpaese.
Poi magari saranno tutti colpevoli, ma non è questo il modo in cui andrebbe amministrata la giustizia.
La difesa dei diritti di tutti passa anche dalla difesa dei diritti di quelli che la “società onesta” considera la feccia
Vale anche per Provenzano, che in carcere sta subendo dei trattamenti molto particolari., e sulle cui condizioni si è interessata, meritoriamente, anche Sonia Alfano, che oggi è la prima a condannare le parole dell’ex campione rosanero.
Giovanni Falcone probabilmente  non avrebbe permesso la fuga di notizie di questo genere durante lo svolgimento un processo.
Chi sostiene il contrario (cioè che Falcone avrebbe permesso la fuga di notizie) dovrebbe impegnarsi a dimostrare che Falcone blandiva i media permettendo ai giornalisti di pubblicare documenti su processi ancora in corso.

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*Una volta depositate e messe a disposizione degli avvocati, le intercettazioni diventano pubbliche e possono essere pubblicate A PATTO CHE IL LORO TESTO SIA DI INTERESSE PER LA COLLETTIVITA’. In questo caso, non avendo le intercettazioni a che fare con i reati di cui Miccoli è accusato, secondo noi (che non siamo giuristi e neanche semplici studenti di giurisprudenza, quindi il nostro giudizio non è per niente autorevole) ciò che Miccoli canta in macchina non è di interesse per la collettività, e se fossimo negli avvocati de lu Maradona de lu Salentu proveremmo a tutelarci su questo fronte.

(A meno che non siano stati gli stessi avvocati di Miccoli a dare ai giornalisti di Repubblica la notizia, per gestire meglio un caso che sarebbe comunque esploso più tardi. In questo caso, tutto questo articolo sarebbe totalmente da cancellare!)
L’interesse è di tipo simbolico, non  si trattta di pubblico interesse in senso stretto, secondo noi. Ma per buttare giù dal piedistallo un’idolo dei palermitani, secondo noi, si poteva aspettare la fine del processo.
Di seguito tre link che parlano di questi argomenti giuridici. Leggeteli e, se ne sapete più di noi, fateci sapere se abbiamo capito male; in tal caso saremo felici di correggere le nostre parole
http://www.difesadellinformazione.com/110/la-pubblicazione-di-intercettazioni/

http://www.difesadellinformazione.com/index.php?id_articolo=111

http://www.altalex.com/index.php?idnot=4454

P.S.
Se non avete capito che il nostro articolo è una difesa della memoria di Giovanni Falcone è un problema vostro. Abbiamo già parlato del giudice morto a Capaci, in maniera del tutto diversa rispetto agli stornelli goliardici intonati da Fabizio Miccoli al fine di blandire e divertire il suo ingombrante amico a bordo di un lussuoso SUV.
Poi, vedete voi cosa trarne.

AGGIORNAMENTO 27 GIUGNO

Oggi Fabrizio MIccoli in lacrime ha chiesto scusa ai palermitani durante una conferenza stampa. Ha detto, tra le altre cose “di essere contento che le intercettazioni sono uscite”.

Noi che siamo malpensanti interpretiamo queste parole in due possibili modi:

1. sono stati gli avvocati a dare le intercettazioni ai giornali, per gestire attraverso la conferenza stampa la furia mediatica;

2. Miccoli ha fatto buon viso a cattivo gioco, cioè ha messo una pezza su queste intercettazioni uscite per altre vie dalla procura.

Nel frattempo, il fantasma di “Miccoli-mafioso” ha invaso i social network. Gli italiani, non avendo di meglio da fare, hanno passato gli ultimi giorni a dire la loro su questa strana vicenda.

Oggi anche il re dell’ovvio e della demagogia, Beppe Grillo, è arrivato a  paragonare Miccoli a Berlusconi. Tanto per dire il clima che si è creato attorno al talentuoso numero dieci rosanero.

Grillo è un pluriomicida condannato che è andato in parlamento, e che ora deride Miccoli ipotizzando una sua salita al Quirinale. Davvero indegno Grillo, in quest’occasione.

Noi siamo ancora dalla parte di Miccoli, un artista del pallone che è stato stritolato dai media e dall’abbraccio soffocante della tentacolare città di Palermo.

P.P.S.

Segnaliamo anche un greve articolo sul Fatto Quotidiano scritto dal “giovane scribacchino” Giuseppe Pipitone, un giovanotto palermitano molto intimo della nomenklatura SEL/Vendoliana palermitana (a giudicare dal suo profilo twitter) e che si permette di affermare (dalle colonne, o forse dalle sbarre, del Fatto Quotidiano) che Miccoli avrebbe finto commozione, mettendo in scena “maldestri tentativi di pianto“.

Questo accanimento su un uomo a terra mostrato dal giovane Pipitone sarà sicuramente stato apprezzato dai seniores del Fatto, abituati a trinciare giudizi morali basandosi sugli spifferi provenienti dalle procure.

Giuliano Delnevo, Sinan Capudan Pascià e la gloria dell’eroe venuto da lontano.

delnevo

Si narra che attorno al 1600, poco dopo la battaglia di Lepanto, fra le navi corsare che tormentavano le coste di una derelitta Sicilia ce ne fosse una comandata da un rinnegato milanese di nome Caito Almin, che razziava le coste siciliane, traendo in cattività pastori, contadini e tutti quelli che avevano la sfortuna di incontrarlo.

Cicala
Una storia molto simile a questa venne narrata da Fabrizio De Andrè in Sinan Capudan Pascià, storia di un genovese rapito in giovane età dai turchi che, convertitosi all’Islam, arrivò a ricoprire la carica di Gran Vizir combattendo genovesi e cristiani in generale.

Una storia certo diversa da quella del genovese Giuliano Delnevo, che non venne rapito in giovane età ma che, come il genovese Scipione Cicala (Capudan Pascià) decise di diffondere (sembrerebbe con le armi) il verbo di Allah. Ibrahim Giuliano Delnevo purtroppo è morto a soli ventiquattro anni. Un ragazzo.

In America ancora si ricordano di Johnny Taliban, John Walker Lindh, il californiano che conobbe l’Islam (strano a dirsi) tramite i video rap su MTV dei Public Enemy o dei Brand Nubian e che dopo l’undici settembre andò a combattere gli invasori americani dell’Afghanistan.

John-Walker-Lindh

Negli anni ’60 dell’Ottocento i giovani idealisti andavano in guerra in paesi lontani spinti da una causa ideale: italiani in ungheria e polonia, polacchi e ungheresi in italia, inglesi in grecia e russi un po’ ovunque. Sono loro le persone che danno il nome a tante vie di tante città italiane.

A noi non interessa parlare delle questioni siriane, vogliamo solo mettere in prospettiva storica il gesto di un coraggioso giovane italiano che è andato a morire seguendo il proprio ideale. Poteva rimanere a Genova e impegnare il proprio tempo a seguire il Genoa o la Sampdoria allo stadio, invece ha deciso di andare in Siria. Un coraggio che proviene dal passato, lo stesso che spinse Maometto e la sua banda a girare l’Arabia (e poi il mondo) armi in pugno per predicare il verbo di Allah; la stessa forza che, a Roma, spinse il genovese Goffredo Mameli a immolarsi a soli 21 anni (più giovane di sid vicious!) in nome dell’idea repubblicana.

Goffredo_Mameli

La morte non è un problema se credi in quello che fai

L’automobilista italiano, il peggiore del mondo.

Siamo lieti di ospitare su queste pagine il contributo di un nostro amico austriaco, Karel Hòrny, che ha visitato (in macchina e guidando lui stesso) Palermo e altre città d’Italia e ha insistito perchè pubblicassimo in italiano questa sua violenta invettiva contro gli automobilisti italiani.

L’automobilista italiano, il peggiore del mondo.
di Karel Hòrny
Nella vita agiata e bruciante dell’Italia attuale la rapida diffusione della motorizzazione automobilistica non ha certamente avuto una influenza felice sulla mentalità e il carattere dell’Italiano. L’automobile agisce come uno stimolo che risveglia lo spirito aggressivo dell’individuo che viaggia su quattro ruote, rendendolo troppo spesso volgare, brutale e talvolta criminale. Le scene di violenza sulle strade italiane tendono a moltiplicarsi.
L’automobilista italiano è conosciuto nel mondo intero per la facilità con la quale viola i regolamenti, ma lo fa con astuzia e abilità, altrimenti il numero dei morti sulle strade della penisola sarebbe ben più elevato. Salvo qualche eccezione, l’automobilista italiano non si propone di arrivare, ma di arrivare prima degli altri. Si crede un asso al volante e non sopporta che lo si superi. Da ciò, alterchi, insulti, gesti triviali che degenerano talvolta in drammi.

braccio
Un’altra caratteristica dell’automobilista italiano è di tenere troppo spesso il braccio sinistro fuori dalla vettura. L’automobilista straniero crede che si tratti di un segnale a lui sconosciuto, e ne rimane impressionato. Gli ci vuole qualche tempo prima di capire che l’italiano tiene il braccio fuori dal finestrino per avere un po’ di fresco o semplicemente perchè gesticola discutendo con la persona che è al suo fianco, o ancora lo tiene fuori per noncuranza o capriccio, senza preoccuparsi delle auto che lo seguono, e come se la strada appartenesse soltanto a lui.
Tutto ciò è dovuto al fatto che l’automobile è per gli italiani simbolo di prestigio e di potenza, anzichè strumento di lavoro o di diporto.
Dobbiamo concludere constatando amaramente che secoli di civiltà non hanno in ogni caso eliminato gli istinti primitivi degli abitanti della penisola

Perché non ci sono state insurrezioni dopo la sentenza su Stefano Cucchi.

arresti-e-droga
Stefano Cucchi era un drogato.
Anche Federico Aldrovandi era un drogato.
Pensiamo che sia lecito affermare che entrambi questi poveri ragazzi sono stati uccisi proprio perché erano dei drogati. O meglio, anche e soprattutto per tale ragione ebbero a crearsi le condizioni del loro maledetto incontro coi tutori dell’ordine.
In pratica una condizione sociale (il consumo di sostanze stupefacenti vietate) influisce sul modo in cui lo Stato interagisce con questa categoria umana, quella dei drogati.
Pensate se Aldrovandi e Cucchi e molti altri fossero stati uccisi a causa di una qualsiasi altra condizione sociale considerata negativa dalle forze dell’ordine.
Pensate se fossero stati bastonati a morte perché omosessuali.
In casi del genere, la comunità omosessuale avrebbe sicuramente reagito in maniera compatta a questo orrendo sopruso, come già è accaduto in più occasioni nel nostro paese.
Ora, pensate se Cucchi e Aldrovandi fossero stati uccisi a causa della pelle più scura di quella dei poliziotti.In casi del genere, la comunità interessata avrebbe sicuramente reagito in maniera compatta, come già è accaduto Pensate se Cucchi e Aldrovandi fossero stati ammazzati perché comunisti, o perché ultras.

In casi del genere, la comunità comunista o ultras avrebbe reagito in maniera compatta al sopruso, come già è accaduto in passato per Gabriele Sandri, Carlo Giuliani.

Bene, purtroppo in Italia non esiste una lobby dei drogati che abbia un peso pur minimo all’interno del dibattito pubblico nazionale, sebbene gli italiani continuino a consumare tonnellate su tonnellate di stupefacenti illegali ogni mese da decenni.

I gruppi di interessi, le lobby e le comunità militanti di varie altre formazioni sociali “di minoranza” (omosessuali, fascisti, migranti, comunisti/centri sociali/antagonisti, ebrei, ultras, etc) riescono a fare sentire la propria voce ogniqualvolta si rendono conto di aver subìto un’ingiustizia da parte delle istituzioni.

Per ognuno di questi gruppi sociali è facile identificare personalità pubbliche** che, col prestigio delle loro opinioni, possano compattare in un comune sentire la voce del gruppo sociale in questione.

Per i drogati non esiste niente di tutto questo.

I gruppi di pressione per la riduzione del danno nel consumo, i gruppi promotori della cannabis terapeutica, i pochissimi sostenitori delle “stanze del buco” in Italia non hanno voce.

Non hanno rappresentanza. Non viene dato loro spazio. Nessuno gli parla.

I drogati sono milioni in Italia.

Milioni di giovani e adulti che si divertono ogni sera, col terrore di incontrare una volante.

Senza una cultura della droga e del rispetto dei drogati, senza figure pubbliche che riescano a sensibilizzare l’opinione nazionale sul tema del consumo ricreativo di droga, dobbiamo aspettarci migliaia di altri casi simili alle tragedie di Cucchi, Aldrovandi e tantissimi altri.

In moltissimi paesi del mondo queste questioni sono state affrontate e risolte, o quantomeno si sta provando.

Dalla Svizzera alla California, dalla Spagna all’Olanda fino al Colorado il consumo di alcune droghe è legalmente permesso; in Sudamerica e in altri paesi d’Europa si comincia a produrre qualche sforzo nella stessa direzione.

Intellettuali, personalità pubbliche, leader politici sostengono pubblicamente e a gran voce la causa*** della legalizzazione.

In Argentina un milione di persone si è riunita nelle strade di Buenos Aires per affermare la propria volontà di fumare erba in tranquillità.

In Italia dopo gli exploit di Pannella negli anni ’90**** c’è stato il nulla più assoluto.

Il fatto che in seguito a questi due scandalosi delitti non si sia levata alta la voce di un ipotetico popolo dei drogati a difesa dei propri interessi è molto significativo, significa che la politica, i media e le istituzioni non concedono spazio a discorsi di questo tipo, negano il diritto di parola a circa cinque milioni di italiani, tra il 12 % e il 15% della popolazione.

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*usiamo la parola “frocio” soltanto per catturare la vostra attenzione. Una cretinata che abbiamo già fatto molto spesso, mettendo nel titolo parole come froci terroni donne incinte kamikaze musulmani e ebrei che parlano come Mussolini. Visto che vi offriamo poche cose e di qualità medio bassa dovete accollarvi questi titoli idioti da tabloid, poi vedete voi.

** Soltanto per quanto riguarda i gruppi citati e riferendoci soltanto ai politici si possono trovare decine di volti, pensate poi alla gente dello spettacolo, mentre per i drogati il solo Pannella, che da tempo non ne parla neanche più. Gli altri drogati politici/vip parlano male della droga. Che stupida ipocrisia, anche perché (continua al prossimo asterisco..)

***Quello che la gente non capisce è che la causa della legalizzazione sarebbe un business redditizio per tutti: per lo Stato che ci guadagnerebbe in tasse e in risparmi di spesa carceraria; per gli imprenditori e per l’economia, per il turismo: se la gente faceva la fila per andare a Lugano a fumare, pensate cosa succederebbe se i turisti potessero fumare liberamente sulle colline toscane, o sulle spiagge sarde e salentine o sulle gondole a Venezia. Negli Stati Uniti, dove esiste una forte lobby pro cannabis, i grandi marchi l’hanno capito e legano il proprio brand a testimonial delle canne, guardate, ad esempio, questo video di Adidas e Snoop Dogg.

In Italia un timido tentativo c’è stato da parte della Konami con PES dei Club Dogo, di cui ci siamo già occupati.

****Negli anni ’90, se vi ricordate, oltre a Pannella che gettava il fumo alle folle c’era anche una canzone che andava in tutte le radio il cui testo parlava della gioia di fumare le canne, Maria degli Articolo 31.