la strage di Chapel Hill ignorata dai media

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beh, effettivamente un bambino grasso è stato preso in giro a Sanremo, quindi è normale che i giornali evitino di parlare di un ateo fondamentalista che spara in testa a tre americani di religione musulmana.

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una foto dell’assassino reo confesso

L’omicidio sembra sceneggiato da un pessimo sceneggiatore: tre persone splendide, due sorelle di 21 e 19 anni e il marito 23enne di una delle due, giovani che facevano volontariato sia per i poveri del loro quartiere sia per i rifugiati siriani, uccisi da un brutto ceffo, un malato di ateismo come se ne vedono tanti in America e ormai anche in Europa e in Italia.

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Razan Mohamed Abu Salah, Yusor Mohamed Abu Salah e suo martio Deah Barakat erano tre giovani studenti universitari impegnati nel sociale. Un mese fa Yusor e Deah si erano sposati. Stavano cominciando una vita assieme.

La stampa americana ha cercato di minimizzare, dicendo che si è trattato di una lite per il parcheggio, mentre il padre di due delle vittime sostiene che da settimane l’assassino mostrava ostilità verso la felice famiglia musulmana che viveva accanto a lui.

ecco uno status di facebook dell'ateo militante Hicks

ecco uno status di facebook dell’ateo militante Hicks

Naturalmente, nessuno dice che l’ateismo è una “religione di odio”, come quando un musulmano fa una strage. Si parla di “un pazzo”, come con Breivik.

In America c’è anche chi esulta: uno dei giovani uccisi andava a fare volontariato in Siria, quindi probabilmente era amico dei terroristi. Hanno fatto bene a ucciderli dice l’utente KAFFIR_GEORGE su twitter, così il governo americano risparmia i soldi che avrebbe speso per i droni. Meglio ucciderli in America che spendere milioni per inseguirli in Siria

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Questo è il livello di islamofobia in America.

Freud diceva che l’ateismo scientista è una forma di estremismo paragonabile a quello religioso. Purtroppo c’è gente, anche gente intelligente, che non si rende conto che l’odio genera soltanto altro odio.

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si deve fare satira sui musulmani? un tentativo di cambiare sguardo

"Altro che burqa!" sembra dire lo sguardo di Amedy Coulibaly

“Altro che burqa!” sembra dire lo sguardo di Amedy Coulibaly abbracciato ad Hayat Boumedienne

Edoardo Sanguineti, parlando di Ciprì e Maresco ma anche di Pasolini, diceva che il peggio che può capitare ad un artista eversivo è di essere celebrato dai propri nemici; vedere quindi Hollande, Sarkozy, Angela Merkel e il presidente turco Davutoglu marciare uniti al grido di “Je suis Charlie” è la dimostrazione che il messaggio di Charlie Hebdo era facilmente strumentalizzabile dal potere che invece sosteneva di combattere.

Continuiamo la riflessione sui fatti di Parigi e sul tipo di satira proposta da Charlie Hebdo.

Negli ultimi cinque giorni questo blog ha ricevuto il numero di visite che di solito riceve in due mesi, segno che forse il nostro discorso ha toccato alcune corde non sfiorate dai maggiori commentatori.

Innanzitutto chiariamo qualcosa che è bene ripetere dopo aver pubblicato questo articolo.
Se noi fossimo stati a Parigi, molto probabilmente saremmo scesi in piazza in solidarietà con Charlie Hebdo: è assolutamente inaccettabile una strage simile, e nessun tipo di satira fascistoide (come lo era a volte quella di Charlie Hebdo) può meritare una rappresaglia del genere.

Proviamo però a ribaltare il framing, la narrazione dominante.

Questa è la narrazione dominante:
La Libertà d’Espressione, Valore tipicamente Europeo, va tutelata dai fanatici di tutte le Religioni: quindi è un atto di Coraggio pubblicare le Vignette, anche le peggiori, perché solo così, con le Armi della Libertà, vinceremo il Terrore dell’Oscurantismo. I Musulmani devono rispettare i Valori Europei, per cui noi siamo pronti a Morire.

Cosa rispondere ad un discorso di questo tipo? Noi risponderemmo così.

Un giornale della borghesia francese si diverte, al solo fine di attirare l’attenzione, a violare ripetutamente uno dei principali precetti dell’Islam. In Francia (una nazione che da secoli occupa militarmente gran parte del mondo musulmano africano) vivono 6 milioni di musulmani, molti dei quali “integrati” (cioè membri della borghesia) e molti altri “non integrati” (cioè poveri delle periferie). I “non integrati” possono avere tre strade: la fatica, la malavita o la religione. Nel caso dei killer di Parigi, sono tutte e tre le cose: operai, rapper, piccoli spacciatori, che in carcere incontrano gente che li converte ad una versione oltranzista e letteralistica dell’Islam. Evidentemente, il risentimento nei confronti di un sistema che ti emargina è paglia che arde facilmente al fuoco della violenza. La Haine.

Se vivi in un paese in cui un abitante su otto è musulmano, in cui i musulmani sono generalmente più poveri e emarginati dei "bianchi" , in cui è vietato l'uso del niqab pena l'arresto, in cui le forze armate bombardano dagli anni '50 vasti settori del mondo arabo. Se lo fai, sei pienamente consapevole delle conseguenze. SAREBBE UN INSULTO AI CADUTI pensare che non fossero perfettamente al corrente dell'odio che stavano seminando. E sarebbe da ipocriti negare che non immaginassero la propria fine

(trovate le differenze tra l’immagine qui sopra e l’immagine qui sotto)

gasabissinia

La violenza insensata e vergognosa dei killer di Parigi non scalfisce però di una virgola il giudizio su molte delle scelte artistiche di Charlie Hebdo: puro odio, disprezzo per le vittime di un colpo di stato, condita da una inutile raffigurazione blasfema del corano fatto di feci, un modo sicuro di attirare l’attenzione. Se fai una battuta su un massacro occorso poche ore prima, dicendo che in fondo il Corano non salva dalle pallottole, stai dalla parte del potere, dei generali golpisti. Sarebbe come se, in nome della Libertà di Stampa, facessimo una vignetta in cui Charb, con una smorfia e gli occhi a X, si ripara dalle pallottole con una copia marrone di Charlie Hebdo trapassata dai proiettili, col titolo: “Massacro di Parigi: Charlie Hebdo è una merda! Non ripara dalle pallottole!” hahaha, giusto? dobbiamo ridere, giusto?

dieudonnè

Naturalmente qualcuno ci ha già pensato

Certo, si può obiettare che Charlie era di sinistra, a favore di Gaza e contro la famiglia Le Pen. Questo è certamente vero. Ma sapevano benissimo che per avere l’attenzione globale bastava disegnare Maometto. Nessuno a livello globale li avrebbe cacati di striscio altrimenti, e Wolinski l’erotomane sarebbe ancora tra noi.
Reificare Maometto a forza, come le signore francesi che strappavano il velo alle tunisine negli anni ’50 in nome del Femminismo (Charlie Hebdo naturalmente adorava un fenomeno come le Femen). Introdurre a forza un cambiamento radicale nell’Islam dai propri salotti borghesi parigini, tra un patè, un vino buono , una tetta e un quadro da 50mila euro. In Francia, la terra dell’Odio.
Perché in Italia queste cose non succedono? Uomini politici del centrodestra di Lega e PDL hanno osato blasfemie molto più estreme di Carlie Hebdo, ma qui la situazione è meno tesa. Non ci sono banlieu, non ci sono colonie. Ma è solo questo?

Perché in Sicilia, la porta attraverso cui arrivano in Eurioa gran parte dei migranti musulmani, non ci sono mai state manifestazioni contro l’immigrazione? Perché qui i rapporti sono tendenzialmente pacifici e c’è meno odio?
Ancora, perché i vignettisti italiani pensano ad altro? Forse perché sono più scarsi? O forse perché hanno altre priorità rispetto a quella di insultare una religione minoritaria, propria dei ceti generalmente più bassi e delle ex colonie?

BORAT; SOUTH PARK

Qui non si tratta di non poter fare satira sull’Islam. Un paio di anni fa, uno stand up comedian americano diceva che lui non faceva battute sull’Islam “because, come on.. who knows a shit about Islam?” e questa candida ammissione (oltreché pregevole battuta) è generalmente valida. Nel cosiddetto “Occidente” non è facile ridere sulle cosiddette “minoranze”. Bisogna essere bravi per non risultare stupidi o addirittura fascistoidi (come a volte capitava a Charlie).

Ci sono infatti due esempi di satira abbastanza estrema sui musulmani che presentano lati interessanti, a nostro avviso artisticamente ben più riusciti della blasfemia di Charlie Hebdo.
South Park nel Luglio 2001 (precisamente il 4 Luglio!) disegnò Maometto e nessuno disse niente, perché prima della guerra in Iraq e Afghanistan la situazione era così, molto tranquilla. Poi nel 2006 ci fu un caos per due puntate in cui South Park mostrava Maometto. In realtà si trattava di due puntate mozzafiato, esilaranti e sceneggiate magistralmente, in cui Maometto era disegnato con il volto coperto, quindi non era realmente rappresentato . Un modo poetico e realmente graffiante di professare il proprio ateismo militante, privo di quegli estremismi inutili fatti da chi cerca soltanto attenzione. In altri episodi (in cui la raffigurazione di Maometto venne censurata dalla rete) sullo stesso argomento si parla anche della libertà d’espressione artistica e dei limiti e della qualità dell’espressione satirica, una lezione che a Charlie Hebdo non hanno imparato.

Gli autori di South Park, Stone e Parker, hanno anche raccontato in maniera perfetta la retorica guerrafondaia della War on Terror contrapposta alla retorica pacifista in Team America, altro film esilarante e genuinamente satirico, al di là del punto di vista espresso.

Un ulteriore esempio abbastanza riuscito è The Dictator, il cui autore spesso ha impersonato personaggi di fede musulmana o di altre minoranze. Il suo Dictator cammina sul filo ma Baron Cohen non è uno sprovveduto e riesce a tenersi in equilibrio grazie anche alla potenza del suo corpo comico. Il monologo finale dimostra come la camminata sul filo (raffigurata visivamente poco prima) riesca alla perfezione, un concentrato esplosivo di satira contro il potere, fatto recitare ad un perverso dittatore musulmano di fronte all’ONU. Nulla a che vedere, converrete, con il Maometto fallico riproposto ancora da Charlie Hebdo nella prima pagina dopo l’attentato, argomento trito e ritrito del più vacuo ateismo militante da tastiera. Ancora e ancora e ancora, senza risparmio reifichiamo Maometto, accaniamoci contro una minoranza per il diritto alla libertà d’espressione.

“Democracy looks like a midget in a chemo wig”

South Park e Sacha Baron-Cohen hanno usato sull’Islam e sui musulmani una satira senza sconti, hanno subito minacce ma la loro arte si situa su un piano di ricerca estetica ben superiore alla mera derisione della vittima usata talvolta da Charlie Hebdo.

Adesso ci troviamo in una situazione di crescente islamofobia, su cui speculano in molti. Crescono, in Francia, Germania, Svezia e Olanda, gli attentati incendiari contro le moschee. Quel che è peggio è che all’ondata islamofoba si accompagna una ondata antisemita, con gli ebrei francesi che piangono quattro vittime e che si ritrovano continuamente bersaglio di possibili attentati. Netanyahu li invita ad andare in Israele, ma non siamo sicuri che lì la situazione sia più tranquilla.

Democracy kisses you when she wants to, not because the father is in the next room chained to a radiator with electrodes attached to his nibbles.
La beffa finale, quasi mortificante per Charlie Hebdo, la notizia che definitivamente li pone, pur da vittime, dalla parte del potere, è giunta ieri.
Dieudonné, altro pessimo esempio francese di satira al servizio dell’odio, è stato indagato per aver scritto su internet “Je suis Charlie Coulibaly”, e per aver pubblicato la vignetta su Charb che avete ammirato sopra.

Ormai i blasfemi vignettisti di Charlie Hebdo, da morti, sono diventati talmente Sacri che se un altro comico osa prenderli in giro, viene subito indagato.

Un feroce contrappasso per dei vecchi bestemmiatori libertari che avevano subito infinite cause legali, che non hanno rinunciato a deridere nessuno, neanche i morti ammazzati. Tristemente, ma ironicamente, tocca a loro essere derisi dopo l’assassinio.

Cosa è la “satira kamikaze”? + un identikit dell’italiano che va in Francia e diventa islamofobo

Ieri abbiamo introdotto il concetto di “satira kamikaze”. Di cosa si tratta?

Quando fai satira contro qualcuno che sai essere pericoloso e pronto a ucciderti, e continui a deriderlo apposta per suscitare una sua reazione, senza alcuna paura, ecco un esempio di satira kamikaze.

Oltre a Charlie Hebdo, ci vengono in mente le trasmissioni di Radio Aut condotte da Peppino Impastato in Sicilia negli anni ’70. In entrambi casi gli autori erano perfettamente a conoscenza dei rischi che correvano, e in entrambi i casi si è arrivati all’omicidio.

Ma fra Charlie Hebdo e Peppino Impastato c’è una differenza fondamentale, che non può essere ignorata da un osservatore imparziale.

Impastato era la voce di una minoranza che si ribellava ad un potere che dominava;

Charlie Hebdo era la voce della maggioranza francese, borghese e bianca che detiene il potere, e si accaniva contro una minoranza di proletari e sans papier.

In entrambi i casi abbiamo assistito ad una immensa prova di coraggio da parte dei kamikaze satirici: sono andati incontro alla morte ridendo in un florilegio di battute e prese per il culo.

Solo che Impastato è morto nel silenzio dei media (perché era realmente scomodo) mentre Charlie Hebdo (che fa comodo al potere) è stato assassinato nel clamore globale dei peggiori censori e razzisti che si elevano a paladini della libertà di stampa.

Ora, perché in Italia non esistono situazioni come quella di Parigi? Perché i vignettisti italiani pensano ad altro e lasciano la propaganda razzista al quotidiano Libero e a Salvini?

Per provare a rispondere a questa domanda, proveremo a raccontare una storia

IDENTIKIT DELL’ITALIANO CHE VA A VIVERE IN FRANCIA E DIVENTA ISLAMOFOBO

Nasci in Italia, al Sud, all’inizio degli anni ’80. Famiglia della media borghesia, tendente a sinistra.

Cresci senza internet. Liceo, canne, manifestazioni. Nel 98/99 scendi in piazza contro le bombe di D’Alema su Belgrado. Nel 2000 vai a studiare in un’università del nord. Padova, Bologna, Venezia. Nel 2001, a Luglio, magari vai con gli amici a Genova. Terribile.

Nel 2004 ti laurei (c’è già internet), dottorato e nel 2006 vinci una borsa di ricerca a Parigi. Filosofia, o magari cose scientifiche tipo microchirurgia o fisica.

Ti piace la Francia. Non c’è Berlusconi. Le ragazze si fanno meno problemi.

C’è libertà di stampa, di culto e di ricerca. Valori Repubblicani, lavoro, welfare. Quasi quasi ti conviene fare un figlio o rimanere disoccupato, se sei povero. Altro che il Sud Italia.

Si vive bene, la città funziona. I mezzi di trasporto sono in orario. Certo, sulla metro magari gruppetti di ragazzini algerini della banlieu ti rompono le palle. Però il lavoro va bene.

Diventi insegnante universitario a 32 anni. Leggi Onfray, Hitchens, Houllebecq, Bernard-Henry Lévi (non la Fallaci per un vago ricordo del Social Forum) vai ai concerti, alle mostre, a teatro, compri Charlie Hebdo. Ridi e guadagni soldi. Hai un passaporto europeo.

Vai a cena coi colleghi francesi e uno di loro parla della legge di Sarkozy che vieta il burqa, pena l’arresto. Dice: “Fa bene, già abbiamo dato col cristianesimo, non si devono permettere di portare qui queste usanze barbare. Noi uomini di scienza dobbiamo odiare tutte le religioni, ma soprattutto l’Islam”.

All’inizio, ti stupisci che un tuo collega di sinistra se la prenda con gli immigrati. Poi pensi: minchia.. ha ragione.

Hanno rotto il cazzo con gesù, maometto e tutte le religioni. vive la libertè porcodio.

Si fottano ‘sti stronzi. Berlusconi è una merda, la Lega mi fa schifo ma ‘sti algerini rompono davvero i coglioni. Picchiano le donne, spacciano, mi hanno fatto cadere il cappellino mentre camminavo per Montmartre.

E poi Voltaire, Rousseau, Lepen!

Santanché e Pussy Riot: analogie e differenze

satan ché

A prima vista, la vergognosa azione della Santanché alla moschea di Milano non è tanto diversa dall’azione delle Pussy Riot in una cattedrale di Mosca per la quale le attiviste russe sono state condannate a due anni di carcere duro.

Entrambe le azioni miravano a puntare il dito contro la connivenza delle religioni organizzate con un potere politico-religioso che opprime il popolo.

La Santanché contro il burqa, le Pussy Riot contro il sostegno della Chiesa ortodossa alla politica di Putin.

Ma, guardando più a fondo, ci sono delle enormi differenze.

Innanzitutto, le azioni delle Pussy Riot andavano contro la maggioranza al potere, mentre la vergognosa azione della Santanché andava contro una minoranza che in Italia spesso è costretta a subire la protervia razzista.

Poi, la Santanché è un ricco imprenditore nonchè parlamentare, mentre le Pussy Riot sono delle attiviste senza arte nè parte, quindi è evidente lo squilibrio di potere.

Però ci sono delle analogie.

L’ateismo militante (in questi casi accostabile ai teorici della difesa delle radici cristiane) spesso cade in contraddizioni atroci, e non sorprende che una certa destra neoconservatrice tenti di sfruttare la pretesa superiorità occidentale proprio sul terreno della laicità.

Marine Le Pen guadagna consensi perché ha spinto il Front Nationale a lasciare perdere l’antisemitismo per concentrarsi sull’islamofobia, in difesa dell’identità laica e femminista francese.

Proprio così, la destra (assieme a una parte della sinistra più “laicista”) usa il femminismo contro la minoranza islamica.


Nel video qui sopra potete ammirare il futuro sognato da Santanché, Brunetta, cattolici tradizionalisti e atei militanti: una donna col niqab (che in Italia chiamano burqa) viene perquisita per strada e denunciata in base al suo credo religioso.
Come potete vedere, in Francia le donne col burqa o con il niqab vengono discriminate, e ci sembra questo l’obbiettivo delle campagne razziste della Santanché, che nasconde a malapena la sua xenofobia dietro il velo del femminismo, della presunta difesa delle donne musulmane “costrette” a indossare il burqa.

Renato Brunetta oggi ha fatto la seguente dichiarazione:

«se ci fosse bisogno di una conferma a proposito di come va la giustizia in Italia, ecco la sentenza contro l’onorevole Daniela Santanchè, condannata a quattro giorni d’arresto per aver civilmente manifestato contro il burqa, vera prigione in cui stanno rinchiuse donne rese schiave anche in Italia. Mi domando: chi è l’estremista? Lei o il Tribunale che l’ha condannata?».

In pratica, secondo questo pericoloso schema mentale razzista, le donne musulmane, incapaci di prendere decisioni autonomamente, vanno difese per mezzo delle spettacolari azioni di Santanché e delle parole di Brunetta, paladino delle donne e campione del femminismo.

Va sottolineata, infine, la grandissima dignità della comunità musulmana milanese nel reagire a questa provocazione.

Immaginate un politico musulmano che la domenica di Pasqua andasse fuori da una Chiesa alla fine della Messa Pasquale, accompagnato da decine di giornalisti e telecamere, senza nessuna autorizzazione, urlando insulti e bestemmie contro i fedeli cristiani.

Immaginate la reazione dei fedeli cristiani quale sarebbe stata.

A Milano, un fedele musulmano col braccio ingessato non riuscì a tollerare in silenzio la blasfemia della Santanché, e decise di rischiare la galera (è stato infatti condannato a decine di migliaia di euro di multa) per opporsi alla provocazione indegna di un parlamentare italiano.

Laicismo, difesa delle radici cristiane, islam, femminismo, non sono parole vuote, scudi dietro cui difendere qualsiasi istanza politica.

Bisogna avere la capacità di capire quando questi valori vengono sbandierati in maniera sincera e quando invece sono delle armi al servizio dei potenti.

Le azioni della Santanché contro il burqa ci riportano alla mente quelle delle donne francesi che negli anni ’50 in Algeria strappavano i veli alle algerine per “liberarle dall’oppressione maschile”, per poi bruciare in piazza il simbolo de “l’odio patriarcale”.

Quelle donne, con l’alibi del femminismo, perpetravano invece il dominio francese su un popolo messo in ginocchio dall’occupazione coloniale.

Contro il discorso neocon: piccola confutazione di un articolo di Christian Rocca

Ciò che vi proponiamo oggi è un modesto (ma non umile) tentativo di smontare le tesi presentate dal giornalista Christian Rocca nella sua prefazione ad un saggio di Paul Berman apparso su IL, magazine del Sole24ore .
Non siamo i primi che si cimentano nel glossare un testo neoconservatore e/o xenofobo. A questo link potete trovare una dissacrante e divertente demolizione dei deliri razzisti di Oriana Fallaci compiuta un decennio fa da Miguel Martinez e Lisa Maccari; Daniele Luttazzi nei suoi libri smonta pezzo per pezzo la retorica di Giuliano Ferrara su temi come l’aborto e Renato Farina, due temi per certi versi simili.
Noi non ci sentiamo affatto superiori nè a chi ci ha preceduto nè al bersaglio della nostra critica, Christian Rocca, che il giornalista lo sa pure fare, ha una buona vis polemica (altrimenti non sarebbe un Moggiano di ferro) e conosce come pochi altri (in Italia e in Europa) gli uomini e le donne della politica e del giornalismo statunitensi.
Se tentiamo di confutare le sue tesi è perchè non le accettiamo. Non vogliamo vivere nel terrore e non pensiamo che l’ideologia islamista sia il nostro vero problema. Soprattutto, al contrario di Rocca, non pensiamo che l’eventuale minaccia sia sottovalutata, anzi pensiamo che l’islamofobia sia piuttosto in aumento nel nostro paese e in Europa. In America è già al massimo da anni.
In corsivo mettiamo il testo di Rocca, che ricopiamo perchè liberamente disponibile online. Ogni nostro commento è preceduto da un trattino tipo questo –

In 1984, George Orwell si era inventato la “Thought Police”, la polizia del pensiero (nella traduzione italiana chiamata la psicopolizia), un espediente narrativo per fornire al sistema totalitario guidato dal Grande Fratello lo strumento di coercizione più invasivo che l’essere umano potesse immaginare e sopportare: il controllo del pensiero ventiquattr’ore su ventiquattro.

Il controllo poliziesco del pensiero significava annullamento del pensiero, cancellazione dell’individuo, schiavitù. «Il Grande Fratello vi guarda», minacciavano le scritte sulle strade di Oceania. I sudditi del regime di conseguenza erano costretti a non pensare. Erano costretti ad annullarsi per evitare guai. «Si doveva vivere (o meglio si viveva, per un’abitudine, che era diventata, infine, istinto) tenendo presente che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto», si legge già alle prime pagine di 1984, assieme a Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler uno dei testi letterari definitivi sul totalitarismo.

Che cosa c’entrano George Orwell e i sistemi totalitari del Novecento con l’ideologia militante dell’Islam radicale e la minaccia alla libertà di pensiero di cui parla questo saggio scritto da Paul Berman?

-eh, infatti, cosa c’entrano?

C’entrano. Oggi, argomenta Berman, l’Islam radicale si è posto l’obiettivo politico di restringere i limiti di ciò che è consentito pensare, sia nella società occidentale sia nel mondo islamico. L’ideologia islamista e le sue squadracce non minacciano soltanto la libertà di espressione, puntano addirittura a controllare la libertà di pensiero. L’Islam radicale si è trasformato nella psicopolizia del romanzo di Orwell. Se non ce ne accorgiamo, avverte Berman, possiamo dire addio società liberale.

-Possiamo, chi? Società liberale, dove?
Ci sembra logico affermare che ogni regime autoritario ha in mente di controllare il pensiero dei suoi cittadini.
Orwell voleva parlare di OGNI regime possibile nel suo futuro. Paragonare il mondo di 1984 a UN QUALSIASI regime totalitario, come sembra fare Rocca, equivale a dire un’ovvietà. o meglio, equivale a dire una cazzata.
Perchè, vedremo più avanti, ‘l’ideologia islamista’ di cui parla Rocca non è al potere in alcuno stato sovrano, quindi è davvero stupido e inutilmente retorico paragonare la psicopolizia di 1984 alla ‘minaccia islamista alla libertà di pensiero’…
..A meno che, ovviamente, Christian Rocca non stia parlando dell’Arabia Saudita, storico alleato americano. Se così fosse, il decennale sostegno alla crudele monarchia saudita renderebbe gli Stati Uniti di Bush (esaltati da Rocca) il più grande Quisling della storia dell’Umanità.
Berman nel suo articolo parla proprio della repressione e della shari’a in Arabia Saudita, quindi sì, incredibilmente Christian Rocca sta sconfessando anni di militanza pro-Bush e si allinea coi Michael Moore più oltranzisti e obesi.

Paul Berman è un intellettuale americano liberal e di sinistra da anni impegnato a spiegare come la battaglia contro l’Islam politico è la diretta continuazione della lotta contro gli altri totalitarismi del Novecento, il nazifascismo e il comunismo. In Terrore e liberalismo (Einaudi, 2004), Berman aveva illuminato con precisione la connessione ideologica tra l’islamismo, il nazionalismo arabo e i movimenti totalitari del ventesimo secolo.

-Sottolineare l’appartenenza politica di Berman è un tentativo molto sottile e raffinato di rafforzare empaticamente l’islamofobia nei lettori di “sinistra” dell’inserto del Sole 24ore su cui è apparso questo articolo. Segniamo anche un punto a favore di Rocca: più avanti nell’articolo eviterà di sottolineare la nota melodrammatica della dichiarata omosessualità di Bruce Bawer.

A poco a poco l’attenzione di Berman si è spostata sugli intellettuali del mondo libero, in particolare quelli che non sono stati capaci di individuare nell’estremismo islamico, e nemmeno nella dittatura nazionalista di Saddam Hussein, la versione moderna della minaccia totalitaria del secolo scorso. Affrontare e contrastare sul piano delle idee questo pericolo, secondo Berman, non è soltanto la cosa giusta da fare, ma quella moralmente doverosa.

-adesso la critica di questa prefazione diventa davvero imbarazzante, imbarazzante da scrivere.
l’ ‘ideologia islamista’ di cui si sta parlando sarebbe quindi quella qaedista o quella baathista? i religiosi o i laici? oppure basta che siano musulmani?
quale delle due è ‘la versione moderna del totalitarismo’ novecentesco?
DI CHE STIAMO PARLANDO, ROCCA?
il tono della frase qui sopra è quello di un professore universitario durante l’esame di Storia del Medio Oriente alla laurea triennale, quando lo studente Rocca Christian, (fuorisede proveniente dalla lontana Alcamo, Virginia) a domanda precisa, balbetta e confonde i regimi nazionalisti laici con un non meglio identificato islamismo, rendendo quindi inutili tutte le parole finora pronunciate. 18, va, che c’è caldo..

Gli intellettuali, ha scritto Berman nel saggio del 2010 intitolato The Flight of Intellectuals (incomprensibilmente non ancora tradotto in italiano), scappano di fronte alla realtà e non assolvono il loro compito che in teoria è quello di spiegare all’opinione pubblica che cosa sta succedendo. I maître à penser occidentali vedono la minaccia di un movimento politico autoritario e totalitario che dice di agire in nome dell’Islam ma, invece di denunciare la barbarie e le intimidazioni, preferiscono fuggire dalle loro responsabilità. Stanno zitti. Rinunciano al loro ruolo. Depotenziano il dibattito. Evitano la discussione. Fanno anche di peggio: accusano i dissidenti e gli spiriti liberi di quelle società, ridicolizzano il loro coraggio. Li disprezzano, anche. Assieme a chiunque prenda le loro difese.

-gli intellettuali scappano? il più potente e famoso quotidiano italiano, il Corriere della Sera, tramite il suo direttore Ferruccio De Bortoli ha spacciato per più di un decennio ormai, e continua a farlo, le idee razziste e violente di Oriana Fallaci, la defunta propagandista razzista che è ancora lontana dall’essere dimenticata dall’ ‘industria culturale’ italiana e mondiale e norvegese..
Fa il finto tonto, Rocca? O è disinformato? O pensa che Ferruccio De Bortoli non sia un mâitre à penser?

Non è stato sempre così. Nel 1989, il mondo intellettuale si è schierato con Salman Rushdie, quando lo scrittore è stato condannato a morte dalla fatwa religiosa emanata dall’ayatollah iraniano Khomeini, ma allora non era ancora evidente la capacità di intimidazione dell’Islam politico. In nome della libertà di espressione, durante il caso Rushdie le guide morali del mondo libero si sono mobilitate a favore dell’autore dei Versi satanici. I Rushdie dei nostri giorni – da Ayaan Hirsi Ali a Ibn Warraq – sono meno fortunati. Vengono liquidati come personaggi insignificanti, ignoranti, non rappresentativi. Non valgono quanto i leader del movimento islamista che fingono di essere moderati, come Tariq Ramadan.

-Oh, beh, questo vuol dire che Rocca non ritiene Fiamma Nirenstein un’esponente del mondo intellettuale, e qui ci trova d’accordo.
Dicendo questo ci dimostra di non considerare Giuliano Ferrara un intellettuale, o Roberto Saviano, o Giovanni Sartori, tutti pubblicamente critici contro le più dure derive islamiste.
O forse il suo è l’ennesimo trucchetto propagandistico?

Secondo Berman, la ragione di questa fuga degli intellettuali è più semplice di quanto possa sembrare: «Pensano sia meglio stare alla larga da autori che definiscono provocatori, temono sia troppo pericoloso sostenerli, sono intimiditi».

-E tu, Rocca, da giornalista, sei mai andato ad un incontro pubblico dove fosse presente Vittorio Arrigoni, poi ucciso dai tuoi stessi nemici? O lo ritenevi un personaggio ‘provocatorio’ e ‘pericoloso’?

Con la polizia del pensiero a vigilare, l’intimidazione e la paura diventano sentimenti decisamente più efficaci della rabbia e dell’orgoglio di chi denuncia l’oppressione e l’intolleranza. La nuova riflessione di Berman, contenuta in questo saggio pubblicato da IL in esclusiva italiana, si concentra su un rischio apparentemente lontano per la società aperta, ma che in realtà è più pericoloso e attuale degli atti di violenza terroristica. Un pericolo di tipo orwelliano.

Berman non è solo in questa battaglia. L’editorialista dell’Observer britannico, Nick Cohen, su questo tema ha scritto un saggio dal titolo You Can’t Read This Book (dedicato a Christopher Hitchens, uno che dal caso Rushdie fino al suo ultimo giorno di vita non si è mai dato alla fuga). Cohen sostiene che non è vero che stiamo vivendo un’epoca di libertà senza precedenti, come si usa dire con un pizzico di ingenuità. Chi offende la religione musulmana, anche solo con una vignetta o con un romanzo, mette a rischio la propria vita. Il risultato diretto è l’autocensura, la fine della società aperta. A vigilare che tutto vada secondo i precetti ideologici c’è la polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale.

-Polizia del pensiero? vi sembra che Forattini o Stefano Disegni o Vincino non abbiano mai pubblicato vignette contro l’islam radicale?
Daniela Santanchè è stata libera di bestemmiare in diretta tv contro il profeta Maometto, e la sua testa è ancora saldamente (chirurgicamente?) attaccata alle spalle. Tra l’altro, le oscenità da lei urlate in quell’occasione contro l’indifeso Maometto POTREBBERO DIRSI UGUALMENTE di san Giuseppe, ma nessuno lo farebbe mai in tv. Autocensura? Polizia del pensiero?
Qualsiasi predicatore della sua amata America è libero di bruciare il Corano senza pericolo (a meno che non passi un mujahidin in skateboard a rubarglielo, esponente del gruppo salafita dei Martiri di Tony Hawk).
I suoi amati marines sono liberi di invadere un paese, fare morti e prigionieri, sequestrare nelle carceri i libri sacri e bruciarli. Per poi gridare al pericolo islamista e alla polizia del pensiero se qualcuno osa avere da ridire.
Chi bombarda i civili da aerei senza pilota e brucia i libri sacri è abbastanza orwelliano per te, oppure il fatto che goda delle fondamentali libertà di fumetto e pornografia lo rende meno orwelliano?
Hai un orwellometro?

Bruce Bawer, scrittore americano in trasferta in Norvegia, definisce «nuovi Quisling» quegli intellettuali occidentali che si oppongono al dibattito sul totalitarismo musulmano e cercano di controllare la conversazione sull’Islam in modo che non offenda i suoi principi ideologici. “Nuovi Quisling” è un insulto feroce.

-sarà un insulto feroce, ma è abbastanza simile alle tesi di Breivik stesso, il quale sicuramente nel suo lussuoso carcere  leggerà e apprezzerà il testo di Berman di cui Rocca fa la prefazione. Non conosciamo l’opinione di Breivik su Quisling, ma conosciamo le sue idee sull’insidiarsi dell’ideologia islamista in europa, e avendole lette possiamo dirvi che non si discostano molto dalle idee di Rocca e di Berman.
Inoltre, le metafore e le similitudini con la Seconda Guerra Mondiale sono un abusato cavallo di battaglia retorico dei neocon. un cavallo zoppo, secondo noi, visto che la reductio ad hitlerum et similia  sta via via perdendo la sua potenza, e con essa tutti i riferimenti a Quisling, o tutte le metafore con la conferenza di Monaco che simboleggerebbe la codardia occidentale di fronte alla minaccia del giorno. (mai hanno parlato di Hiroshima, curiosamente.)

Vidkun Quisling è stato il gerarca fascista norvegese che ha governato il suo Paese con il pugno di ferro per conto dei nazisti. Quisling, insomma, è il simbolo del collaborazionismo con il male assoluto. In The New Quislings: How the International Left Used the Oslo Massacre to Silence Debate About Islam, appena pubblicato da Harper Collins ed edito da Adam Bellow, il figlio di Saul, Bawer ha replicato con veemenza a chi ha strumentalizzato la lucida follia assassina di Anders Breivik, il massacratore locale dei ragazzi di Oslo, per delegittimare i pochi critici dell’ideologia islamista.

Gli articoli di Bawer sono stati citati nel lungo e delirante manifesto lasciato da Breivik e, per questo, con una dose eccessiva di cinismo sono stati successivamente collegati all’azione omicida del solitario assassino norvegese. Da qui la passione personale, talvolta scomposta, di Bawer nel rilanciare attaccando chi ha approfittato di una strage di adolescenti per silenziare il dibattito sull’Islam.

-Abbiamo già detto che se un Quisling c’è, è G.W. Bush, col suo sostegno alla psicopolizia saudita, ma un attimo… il manifesto di Breivik è delirante? Come delirante? Breivik cita Oriana Fallaci, come fanno Rocca e Wilders e Bawer e Berman. Breivik cita Bawer, come lo cita Rocca.
Le sue azioni sono deliranti, se volete, ma se il discorso di Breivik è delirante, allora anche il discorso di Rocca è delirante.
La differenza fra Rocca e Breivik è che quest’ultimo ha ucciso di persona decine di giovani innocenti, mentre il primo naturalmente non hai mai fatto male a una mosca e ha sostenuto coi suoi articoli alcune vaste operazioni militari.
Per il resto, la pensano più o meno allo stesso modo su diversi argomenti. Ad esempio, poco prima avete letto che Rocca ha scritto della ..polizia del pensiero, temibile per la sua capacità di intimidire e facilitata nel compito coercitivo dall’abdicazione dell’élite culturale; una tesi del genere è quasi identica a quelle sostenute da Breivik nel suo debordante manifesto d’intenti multimediale, quando parla della political correctness (che impedisce di demonizzare l’islam) come forma di evoluzione del marxismo culturale, quindi sostanzialmente un segno della debolezza degli intellettuali contemporanei di fronte all’islam. Tesi di Bawer, con ogni probabilità…

Il saggio di Paul Berman è più sereno, sine ira ac studio, senza ira né pregiudizi, ma il punto di arrivo è lo stesso: la società aperta non si può permettere di ignorare la campagna globale islamista per la limitazione della libertà di pensiero attraverso l’intimidazione.

-Christian Rocca, e questo gli va riconosciuto, da quando Obama è diventato presidente ha aggiornato i lettori del suo blog riguardo ogni mossa ‘alla Bush’ da parte di Barack H. Obama, cose tipo bombardamenti, mancata chiusura di Guantanamo, aumento dei budget militari, ricerche sperimentali su nuove armi, raid aerei in paesi come Somalia e Pakistan..cose ‘alla Bush’ secondo Rocca e anche secondo noi. Il suo tentativo, riuscitissimo secondo noi, era quello di mostrare a tutti gli enthusiasts italiani del Nobel per la Pace Obama che la sua politica estera era uguale a quella di Bush, se non più aggressiva.
Con una mossa davvero simpatica e incisiva, queste notizie venivano presentate sotto l’elaborazione grafica di un volto con le sembianze di Bush E di Obama insieme, con l’ammiccante titolo that’s right.


Ora, tutte queste campagne militari cominciate da Bush e continuate da Obama si inscrivono in una una vera e propria Campagna Globale, per parafrasare la prefazione.
Se Rocca volesse davvero capire i motivi della forza di una non ben definita ‘campagna globale islamista’, dovrebbe interrogarsi sulla portata intimidatoria e sulla capacità di fuoco della campagna globale militare americana, che va avanti da più di un decennio e che Rocca ci ha raccontato in questi anni, anni in cui il suo sostegno giornalistico alla guerra americana non è mai venuto meno.

p.s.

Leggetevi, se ce la fate, l’articolo di Berman da cui la prefazione. Ci piacerebbe commentarlo ma per ora non abbiamo il tempo. Vi anticipiamo solo che Berman definisce Magdi Allam moralmente scrupoloso.