Palermo disprezza l’antimafia

i cosplayer dell'antimafia portati a palermo da tutta Italia fanno compagnia a parenti, amici e colleghi di Paolo Borsellino e delle altre vittime dell'attentato del 19 Luglio 1992

i cosplayer dell’antimafia portati a Palermo da tutta Italia fanno compagnia a parenti, amici e colleghi di Paolo Borsellino e delle altre vittime dell’attentato del 19 Luglio 1992. immagine tratta da qui

Ormai il copione è collaudato.

Il 23 Maggio e il 19 Luglio, gli anniversari della morte di Falcone e Borsellino, Palermo è invasa da navi e pullman carichi di manifestanti.

Libera, Addiopizzo, Polizia e Carabinieri organizzano “crociere della legalità” e “vacanze antimafia” per evitare che i telegiornali riferiscano di piazze desolatamente vuote.

Addio Pizzo, mentre apre gelaterie in centro e lidi sulla spiaggia, ormai serve a coprire la TOTALE ASSENZA DI PARTECIPAZIONE da parte della cittadinanza palermitana alle manifestazioni e alle commemorazioni antimafia.

Il 19 Luglio quattro fascisti commemorano il loro eroe Borsellino.

Il 23 Maggio scuole medie da tutta Italia vengono svuotate per dare l’impressione che a Palermo ci sia ancora un sentimento antimafia che riesca a riempire le piazze .

Non è più così. I palermitani preferiscono starsene in spiaggia o a bere birra in mezzo alla strada.

Il resoconto di Repubblica Palermo descrive una situazione ormai patetica. L’autore dell’articolo sembra quasi che nomini uno a uno i presenti alla manifestazione.

Di chi è la colpa?

Forse della propaganda istituzionale, una retorica dell’eroismo martellante e vuota, fatta di parole con la Maiuscola come Onore, Stato, Coraggio, ma che non comunica niente ai siciliani più giovani.

Palermo, a quanto pare, odia lo Stato e le sue celebrazioni.

Cosa è la “satira kamikaze”? + un identikit dell’italiano che va in Francia e diventa islamofobo

Ieri abbiamo introdotto il concetto di “satira kamikaze”. Di cosa si tratta?

Quando fai satira contro qualcuno che sai essere pericoloso e pronto a ucciderti, e continui a deriderlo apposta per suscitare una sua reazione, senza alcuna paura, ecco un esempio di satira kamikaze.

Oltre a Charlie Hebdo, ci vengono in mente le trasmissioni di Radio Aut condotte da Peppino Impastato in Sicilia negli anni ’70. In entrambi casi gli autori erano perfettamente a conoscenza dei rischi che correvano, e in entrambi i casi si è arrivati all’omicidio.

Ma fra Charlie Hebdo e Peppino Impastato c’è una differenza fondamentale, che non può essere ignorata da un osservatore imparziale.

Impastato era la voce di una minoranza che si ribellava ad un potere che dominava;

Charlie Hebdo era la voce della maggioranza francese, borghese e bianca che detiene il potere, e si accaniva contro una minoranza di proletari e sans papier.

In entrambi i casi abbiamo assistito ad una immensa prova di coraggio da parte dei kamikaze satirici: sono andati incontro alla morte ridendo in un florilegio di battute e prese per il culo.

Solo che Impastato è morto nel silenzio dei media (perché era realmente scomodo) mentre Charlie Hebdo (che fa comodo al potere) è stato assassinato nel clamore globale dei peggiori censori e razzisti che si elevano a paladini della libertà di stampa.

Ora, perché in Italia non esistono situazioni come quella di Parigi? Perché i vignettisti italiani pensano ad altro e lasciano la propaganda razzista al quotidiano Libero e a Salvini?

Per provare a rispondere a questa domanda, proveremo a raccontare una storia

IDENTIKIT DELL’ITALIANO CHE VA A VIVERE IN FRANCIA E DIVENTA ISLAMOFOBO

Nasci in Italia, al Sud, all’inizio degli anni ’80. Famiglia della media borghesia, tendente a sinistra.

Cresci senza internet. Liceo, canne, manifestazioni. Nel 98/99 scendi in piazza contro le bombe di D’Alema su Belgrado. Nel 2000 vai a studiare in un’università del nord. Padova, Bologna, Venezia. Nel 2001, a Luglio, magari vai con gli amici a Genova. Terribile.

Nel 2004 ti laurei (c’è già internet), dottorato e nel 2006 vinci una borsa di ricerca a Parigi. Filosofia, o magari cose scientifiche tipo microchirurgia o fisica.

Ti piace la Francia. Non c’è Berlusconi. Le ragazze si fanno meno problemi.

C’è libertà di stampa, di culto e di ricerca. Valori Repubblicani, lavoro, welfare. Quasi quasi ti conviene fare un figlio o rimanere disoccupato, se sei povero. Altro che il Sud Italia.

Si vive bene, la città funziona. I mezzi di trasporto sono in orario. Certo, sulla metro magari gruppetti di ragazzini algerini della banlieu ti rompono le palle. Però il lavoro va bene.

Diventi insegnante universitario a 32 anni. Leggi Onfray, Hitchens, Houllebecq, Bernard-Henry Lévi (non la Fallaci per un vago ricordo del Social Forum) vai ai concerti, alle mostre, a teatro, compri Charlie Hebdo. Ridi e guadagni soldi. Hai un passaporto europeo.

Vai a cena coi colleghi francesi e uno di loro parla della legge di Sarkozy che vieta il burqa, pena l’arresto. Dice: “Fa bene, già abbiamo dato col cristianesimo, non si devono permettere di portare qui queste usanze barbare. Noi uomini di scienza dobbiamo odiare tutte le religioni, ma soprattutto l’Islam”.

All’inizio, ti stupisci che un tuo collega di sinistra se la prenda con gli immigrati. Poi pensi: minchia.. ha ragione.

Hanno rotto il cazzo con gesù, maometto e tutte le religioni. vive la libertè porcodio.

Si fottano ‘sti stronzi. Berlusconi è una merda, la Lega mi fa schifo ma ‘sti algerini rompono davvero i coglioni. Picchiano le donne, spacciano, mi hanno fatto cadere il cappellino mentre camminavo per Montmartre.

E poi Voltaire, Rousseau, Lepen!

I due motivi per andare a vedere “La mafia uccide solo d’estate” di Pif e i tre motivi per non andarlo a vedere.

pif

Questi sono i due motivi per andare a vedere il film di Pif La mafia uccide solo d’estate:

1. Perchè è ambientato a Palermo.

2. Perché vi hanno costretto ad andarlo a vedere.

Ecco ora invece i tre motivi per NON andare a vedere il film di Pif La mafia uccide solo d’estate.

1. Per la banalizzazione. E’ francamente irritante il modo in cui Pif ha diviso il mondo: i buoni sono magnificamente, angelicamente, eroicamente buoni, mentre i cattivi sono degli idioti crudeli, grottescamente imbecilli. Pif sembra usare questo stratagemma narrativo per poter deridere la mafia stragista, ma risulta una mossa totalmente inadeguata, almeno per i palermitani che si ricordano quell’epoca. I personaggi reali sono troppo distanti dallo loro messa in scena.

Chinnici, Dalla Chiesa, Boris Giuliano, tutti mandati dallo Spirito Santo a salvare la Sicilia dai draghi e a sorridere al piccolo Arturo donandogli buffetti paterni, lezioni di vita e dolci alla ricotta.

I mafiosi e i loro alleati sono visti invece come dei babbei incapaci di far altro se non violenza e omicidio, dei trogloditi le cui scenette sono quelle che più faranno ridere gli spettatori non-siciliani, beffandosi del modo in cui Riina, Bagarella e soci sono idioti e scemi e brutti e cattivi.(Non a caso il critico cinematografico romano Marco Giusti ha aperto la sua recensione citando proprio le scene comiche più grottesche che nel film hanno per protagonisti i mafiosi). I personaggi reali sono troppo distanti dallo loro messa in scena.

Negli spettatori siciliani questo meccanismo comico rischia di non scattare perché magari ricordano episodi come la deposizione di Michele Greco al Maxiprocesso.

La calma e, in definitiva, lo stile quasi ipnotico dei patriarchi della mafia in catene. Lo stesso Giovanni Falcone in Cose di Cosa nostra parlava del fascino e perfino della contagiosa umanità di moltissimi mafiosi da lui interrogati. Ma Giovanni Falcone aveva a che fare con la realtà, mentre Pif ha a che fare con la fantasia e la realtà la tratta come materia giornalistica, e infatti del maxi-processo fa vedere unicamente le immagini più grottesche di detenuti che urlano aggrappati alle sbarre o che testimoniano su una barella.

Pif alla conferenza stampa di presentazione ha detto: “Da quando sono andato a vivere Milano molte persone mi hanno fatto domande sulla mafia: molti avevano l’immagine di Riina come un contadino, ma io spiegavo che la mafia era anche nella Palermo bene”. Tutto ciò è in contrasto col film che ha girato, in cui i mafiosi sono esattamente l’immagine che un milanese medio o un romano medio possono avere dei mafiosi, e i pochi collusi della Palermo bene sono tratteggiati appena di sfuggita e in maniera poco profonda (non scendiamo nei dettagli per non spoilerare)

La realtà dei fatti è troppo lontana dalla rapresentazione che ne fa Pif e quindi queste gag si basano su un presupposto inammisibile per chi abbia una conoscenza anche minima dei veri personaggi coinvolti.

Per chi invece quei personaggi non li conosce, risate e lacrime di commozione sono assicurate.

2. Per l’eccessiva istituzionalità. Il film è dedicato alla sezione catturandi della Polizia di Palermo e alla memoria dei poliziotti caduti in servizio. E’ stato girato servendosi dell’aiuto di Addiopizzo. E’ frutto di una coproduzione in cui sono in mezzo anche RAImovie ed MTV. Il Presidente del Senato ed ex capo dell’Antimafia Grasso lo ha approvato e applaudito ed è addirittura andato in un cinema dopo 24 anni per andare a vederlo, e il titolo del film è la parafrasi di un libro scritto dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Tutto ciò si sente un po’ troppo, non c’è dubbio, c’è un’aria pesante di istituzionalità che impedisce una qualsiasi critica seria alle responsabilità del potere politico-economico, che viene dipinto comodamente con l’onnipresente icona pop di Giulio Andreotti, che da solo funge da simbolo del lato-oscuro-dello-Stato, assolvendo Pif da qualsiasi interrogativo sui risvolti più imbarazzanti per le istituzioni. Per questi bisognerà aspettare il prossimo film sull’argomento di Sabina Guzzanti, che probabilmente sarà noiosissimo in confronto a Pif: La mafia uccide solo d’estate è infatti un prodotto ben fatto e perfetto per gli spettatori di Mtv e di Italia Uno, soprattutto per quelli che hanno seguito la carriera di Pif negli ultimi anni.

Il tutto condito da un intento pedagogico-istituzionale reso esplicito dal finale del film.

3. Per i tanti particolari approssimativi. Dallo stentato accento siciliano di Cristiana Capotondi allo stentato accento palermitano di Pif, per non dire del fatto che Pif ha 40 anni e interpreta un 22enne. Inoltre è stato girato quasi due anni fa e il montaggio ha richiesto mesi e mesi di ritardi, qualcosa che in qualche modo traspare dal risultato finale.

In un film che pretende di riprodurre fedelmente i particolari della recente storia palermitana, e in molti casi ci riesce in maniera egregia, stonano alcuni dettagli rivelatori. Geograficamente era complicato all’epoca (lo è ancora oggi) raggiungere un qualsiasi cimitero cittadino partendo dalle zone in cui abitano i protagonisti, e ci riesce difficile immaginare che due ragazzini del genere potessero agevolmente andarci da soli. Pif descrive una città in guerra in cui i due piccoli protagonisti difficilmente avrebbero potuto affrontare un simile viaggio, e quantomeno sarebbe stato interessante mostrare lo scenario umano che potevano incontrare attraversando da un capo all’altro la Palermo dei primi anni ’80. Ma non è questo l’obiettivo del film.

La storia di Pif è una storia antimafia borghese.

Racconta il modo in cui una parte della borghesia palermitana ha vissuto il periodo che va dalla strage di viale Lazio nel 1969 fino agli anni seguenti il terribile 1992, anni in cui la città di Palermo tentava di riprendersi da un periodo di guerra unico nella storia recente dell’Europa Occidentale.

La prospettiva finale del film propone quindi l’ideologia propria di quella borghesia: il Risveglio del popolo siciliano (e dei due protagonisti del film) dopo le stragi, il mito della “Primavera di Palermo”, mito oramai post-Orlandiano, la vulgata (per anni raccontata dal sindaco Ollanno ma ormai patrimonio dei sacerdoti della Religione dell’Antimafia) secondo cui i Lenzuoli appesi alle finestre, l’elaborazione del lutto cittadino, le manifestazioni pubbliche avrebbero sconfitto o quantomeno indebolito la mafia.

Quella stesa borghesia che nel corso degli anni ha applaudito gli arresti eccellenti, ha sventolato agende rosse, ha esultato sotto la questura, ha appiccicato adesivi per dire no al pizzo.

E così ci saremmo liberati, o quasi. Palermo è sicura, la Mafia storica, quei buffoni idioti incapaci del film di Pif, “hanno perso” o quantomeno “stanno perdendo” e marciscono in galera col regime di carcere duro, le cosche sono state “decapitate”, la salvezza è avvenuta grazie ad un pantheon di personaggi quasi antitetici, Impastato e Borsellino, Pietro Grasso e Ingroia, Dalla Chiesa e Falcone, Saviano e Pio La Torre. Un mazzo di veri e propri santini laici da cui pescare la citazione da mettere su Facebook o nelle interviste.

Se questa visuale va bene per raccontare una storia (e bisogna dire che il film è abbastanza ben fatto per quanto riguarda la ricostruzione plastica degli ambienti, delle situazioni, delle esplosioni, della carta da parati dell’epoca), lascia molte perplessità dal punto di vista politico quando non si fosse pronti ad accettare la Religione dell’Antimafia.

La Religione dell’Antimafia è quella cosa che prende i santini dei “martiri” antimafia e li sventola alla rinfusa, senza ricordarsi di ciò che effettivamente dicevano gli stessi martiri e di ciò che avevano fatto in vita.

Nello specifico, Paolo Borsellino diceva che Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo, con tutto ciò che il termine “guerra” e il termine “accordo” comportano per il popolo siciliano, aggiungiamo noi.

Per ora non c’è guerra, quindi le cose sono due: o con la reazione alle stragi degli anni ’90 lo Stato ha vinto e ha sconfitto la mafia, oppure ci si è messi d’accordo per fare cessare le violenze,

Secondo la visione di Pif, la catarsi c’è stata e la Palermo buona ha demolito la Palermo cattiva, o quantomeno c’è ottimismo per il futuro.

Ma non è detto che le cose stiano esattamente così. E soprattutto, anche se la mafia “non ha vinto” e i giudici hanno spezzato la spirale terroristica, le cose in Sicilia non sono migliorate. Violenza, disoccupazione, clientelismo, ignoranza e tutti gli altri mali endemici della Sicilia sono ancora dominanti. Le vaste operazioni di polizia hanno cancellato il dominio dei corleonesi, ma la società civile osannata da Pif non ha migliorato le condizioni di vita.

Abbiamo scritto questa recensione lunghissima ma potevate fermarvi al primo rigo: questo film andrebbe visto solamente perché è ambientato a Palermo.

Dalla parte di Fabrizio Miccoli

miccoli

La pessima usanza dei giornalisti e dei magistrati italiani di fare uscire in maniera semi-clandestina alcuni stralci di intercettazioni prima della conclusione dei processi ha fatto oggi una vittima illustre: il capitano, uomo-simbolo e recordman di presenze e di gol del Palermo Calcio, uno dei più talentuosi calciatori italiani degli ultimi dieci anni, Fabrizio Miccoli.
Maria Falcone per difendere, giustamente, la memoria del fratello è stata costretta a commentare intercettazioni uscite forse ingiustamente dalla procura di Palermo*,messe in giro con la complicità dei media.
Noi vogliamo difendere il diritto di Miccoli di dire quello che vuole, in privato.
Non ci scandalizziamo se usa l’espressione “ci vediamo davanti all’albero di quel fango di Falcone”, perchè detto fra amici (anche se l’amico è indagato per mafia, di fatto è ancora innocente). Chiunque parli in confidenza con amici può fare battute grevi su argomenti pruriginosi, magari spingendo sul pedale della provocazione.
Poi, sarebbe anche lecito che Miccoli reputi VERAMENTE Falcone “un fango”. Ognuno ha il diritto di esprimere in privato le sue idee su qualsiasi argomento. O, magari, usava un certo tono per ispirare simpatia nell’interlocutore, figlio di un boss.
Il fatto che poi Miccoli dedicasse pubblicamente i suoi gol alla figura di Falcone non dovrebbe essere un’aggravante, anzi, dovrebbe dimostrare che in pubblico Miccoli ha avuto sempre rispetto delle istituzioni e della figura (o meglio, del santino laico) di Falcone, svolgendo il ruolo sociale del “campione-antimafia”, tanto caro agli integralisti dell’antimafia e agli agiografi delle vittime della violenza mafiosa, così interesati alla facciata.
Naturalmente, il coro dei politici ha intasato con lanci di agenzie la mediasfera italiana in questo afoso pomeriggio di inizio estate.
Facebook ha cominciato a macinare pagine e commenti sull’argomento.
Il processo ancora è lontano dalla conclusione, ma il processo mediatico è in pieno svolgimento. I giornalisti, gli avvocati doppiogiochisti e le talpe che dagli uffici della procura decidono cosa fare uscire E soprattutto COSA NON FARE USCIRE delle inchieste ancora in corso, i giornalisti alla Marco Travaglio che vantano rapporti di amicizia con giudici alla moda: questa gente ha creato il caso e ora potrà sguazzarci per settimane.
Il mostro è stato creato e buttato in pasto al popolo.

Vi chiederete: chi vi spinge a pubblicare un articolo del genere, difendendo una persona indagata per reati odiosi e amico e complice di personaggi altrettanto chiacchierati?
Abbiamo scritto questo articolo perchè pensiamo che la difesa dei diritti civili vada messa in campo SOPRATTUTTO in casi come questo: quando i diritti di personaggi negativi rischiano di venire calpestati, la giustizia non può che riceverne un danno di immagine. La tenuta di un sistema democratico si giudica anche dal modo in cui esso rispetta i “delinquenti”. Questo vale per Miccoli, per i boss mafiosi, per Berlusconi e le sue amiche, per Ricucci e Anna Falchi, e per gli estremisti di destra ultras della Lazio che, come Fabrizio Diabolik, hanno passato due anni in carcere in attesa del processo. Una ingiustizia intollerabile in uno Stato cosiddetto democratico, ma che è la triste normalità nelle carceri del Belpaese.
Poi magari saranno tutti colpevoli, ma non è questo il modo in cui andrebbe amministrata la giustizia.
La difesa dei diritti di tutti passa anche dalla difesa dei diritti di quelli che la “società onesta” considera la feccia
Vale anche per Provenzano, che in carcere sta subendo dei trattamenti molto particolari., e sulle cui condizioni si è interessata, meritoriamente, anche Sonia Alfano, che oggi è la prima a condannare le parole dell’ex campione rosanero.
Giovanni Falcone probabilmente  non avrebbe permesso la fuga di notizie di questo genere durante lo svolgimento un processo.
Chi sostiene il contrario (cioè che Falcone avrebbe permesso la fuga di notizie) dovrebbe impegnarsi a dimostrare che Falcone blandiva i media permettendo ai giornalisti di pubblicare documenti su processi ancora in corso.

—————————————————————————
*Una volta depositate e messe a disposizione degli avvocati, le intercettazioni diventano pubbliche e possono essere pubblicate A PATTO CHE IL LORO TESTO SIA DI INTERESSE PER LA COLLETTIVITA’. In questo caso, non avendo le intercettazioni a che fare con i reati di cui Miccoli è accusato, secondo noi (che non siamo giuristi e neanche semplici studenti di giurisprudenza, quindi il nostro giudizio non è per niente autorevole) ciò che Miccoli canta in macchina non è di interesse per la collettività, e se fossimo negli avvocati de lu Maradona de lu Salentu proveremmo a tutelarci su questo fronte.

(A meno che non siano stati gli stessi avvocati di Miccoli a dare ai giornalisti di Repubblica la notizia, per gestire meglio un caso che sarebbe comunque esploso più tardi. In questo caso, tutto questo articolo sarebbe totalmente da cancellare!)
L’interesse è di tipo simbolico, non  si trattta di pubblico interesse in senso stretto, secondo noi. Ma per buttare giù dal piedistallo un’idolo dei palermitani, secondo noi, si poteva aspettare la fine del processo.
Di seguito tre link che parlano di questi argomenti giuridici. Leggeteli e, se ne sapete più di noi, fateci sapere se abbiamo capito male; in tal caso saremo felici di correggere le nostre parole
http://www.difesadellinformazione.com/110/la-pubblicazione-di-intercettazioni/

http://www.difesadellinformazione.com/index.php?id_articolo=111

http://www.altalex.com/index.php?idnot=4454

P.S.
Se non avete capito che il nostro articolo è una difesa della memoria di Giovanni Falcone è un problema vostro. Abbiamo già parlato del giudice morto a Capaci, in maniera del tutto diversa rispetto agli stornelli goliardici intonati da Fabizio Miccoli al fine di blandire e divertire il suo ingombrante amico a bordo di un lussuoso SUV.
Poi, vedete voi cosa trarne.

AGGIORNAMENTO 27 GIUGNO

Oggi Fabrizio MIccoli in lacrime ha chiesto scusa ai palermitani durante una conferenza stampa. Ha detto, tra le altre cose “di essere contento che le intercettazioni sono uscite”.

Noi che siamo malpensanti interpretiamo queste parole in due possibili modi:

1. sono stati gli avvocati a dare le intercettazioni ai giornali, per gestire attraverso la conferenza stampa la furia mediatica;

2. Miccoli ha fatto buon viso a cattivo gioco, cioè ha messo una pezza su queste intercettazioni uscite per altre vie dalla procura.

Nel frattempo, il fantasma di “Miccoli-mafioso” ha invaso i social network. Gli italiani, non avendo di meglio da fare, hanno passato gli ultimi giorni a dire la loro su questa strana vicenda.

Oggi anche il re dell’ovvio e della demagogia, Beppe Grillo, è arrivato a  paragonare Miccoli a Berlusconi. Tanto per dire il clima che si è creato attorno al talentuoso numero dieci rosanero.

Grillo è un pluriomicida condannato che è andato in parlamento, e che ora deride Miccoli ipotizzando una sua salita al Quirinale. Davvero indegno Grillo, in quest’occasione.

Noi siamo ancora dalla parte di Miccoli, un artista del pallone che è stato stritolato dai media e dall’abbraccio soffocante della tentacolare città di Palermo.

P.P.S.

Segnaliamo anche un greve articolo sul Fatto Quotidiano scritto dal “giovane scribacchino” Giuseppe Pipitone, un giovanotto palermitano molto intimo della nomenklatura SEL/Vendoliana palermitana (a giudicare dal suo profilo twitter) e che si permette di affermare (dalle colonne, o forse dalle sbarre, del Fatto Quotidiano) che Miccoli avrebbe finto commozione, mettendo in scena “maldestri tentativi di pianto“.

Questo accanimento su un uomo a terra mostrato dal giovane Pipitone sarà sicuramente stato apprezzato dai seniores del Fatto, abituati a trinciare giudizi morali basandosi sugli spifferi provenienti dalle procure.

I TERRONI E LA TELEPATIA

Cosa è la telepatia?
La telepatia è il collegamento fra menti: due menti che dialogano senza bisogno della parola, attraverso uno sguardo a distanza o anche senza.
Il sud italia è il regno della telepatia.
a napoli la gente del nord ha la sensazione di essere truffata perchè immagina che i napoletani possano intuire ogni possibile contromossa.
il traffico caotico delle metropoli del sud (a napoli il semaforo rosso è un clichè superato, palermo è la quarta città in europa nella classifica del traffico più infernale d’europa, dopo istanbul, marsiglia e varsavia*) impone a tutti gli automobilisti indigeni di leggere nel pensiero di chi guida le altre macchine. se vuoi uscire vivo dal caos del traffico, devi pensare in fretta a ogni possibile mossa di chi ti sta davanti o di chi ti sfreccia accanto. se la segnaletica è socialmente ignorata, l’unica chance di sopravvivenza è la telepatia.
Al sud d’italia e del mondo si uccide per uno sguardo.
Più che altrove, il sud italia presenta fenomeni di banditismo sociale sottotraccia, basati più sull’illusione mentale che sulla reale violenza. una dominazione telepatica, pizzini pieni di simboli e rimandi che non si sognano di dire niente, ma solo di alludere a qualcos’altro. Citazioni bibliche, formule di saluto che rivelano il vero significato nascondendolo, sono comuni sia fra i vertici della mafia sia in ogni cena di famiglia, in ogni gruppo di amici, in ogni bar e in ogni discussione inerente ai terroni. il non detto vale più delle parole.
a miegghiu palora è chidda ca un si dice
La telepatia incide anche sul modo in cui gli italiani del centro nord si rapportano coi loro connazionali del mezzogiorno.
E’ vero che ormai la linea della palma di cui parlò Sciascia è arrivata oltre il Brennero, almeno fino a Duisburg; ed è vero che è difficile trovare un torinese o un milanese o un bolognese col pedigree intatto dall’influenza terronica. Ma fra i civili popoli dell’alta italia** serpeggia un sospetto, spesso non infondato, che il proprio interlocutore meridionale stia bluffando, che stia cercando di anticipare e confondere le sue razionalissime mosse.

i terroni sono stati e forse sono ancora una minoranza. una minoranza all’interno del “normale” popolo italiano centro-settentrionale, per quanto normale esso possa essere.
Negli USA le minoranze sono i latinos, i nativi americani, gli italo-americani, gli afroamericani, gli armeni, gli ebrei, etc.
In Italia abbiamo (in ordine di casta) i terroni, gli extracomunitari e gli zingari.
Nel nostro paese, dicevamo, i terroni svolgono ciò che le sopracitate minoranze svolgono in america: hanno esponenti nelle più alte cariche del governo e del potere , ma generalmente gli strati inferiori se la passano abbastanza male. Spesso l’unico modo per sfuggire ad un futuro di povertà è arruolarsi nelle forze dell’ordine o nell’esercito (vedi neri e latinos in USA e meridionali in Italia). La disoccupazione ci ha dato un bel mestiere, insomma.
William Burroughs era un ricco bianco americano, un polentone delle americhe quando andò in Messico per drogarsi negli anni ’50. Il modo in cui i suoi romanzi descrivevano i messicani era tutto fondato sullo sconcerto del white-american verso la totale telepatia fra i sudamericani.
Quando sentite uno del nord che dice “i teroni son marochini mafiosi” in realtà non sentite un insulto razzista, è solo paura della telepatia altrui: i mafiosi non sai cosa pensano perchè proverbialmente sono muti; i marocchini parlano arabo, cioè non sono comprensibili. il problema non è la razza o le usanze o il colore della pelle, il problema è la telepatia, il sentirsi esclusi da un flusso biocomunicativo esoterico che scorre al di sopra (o al di sotto) della propria comprensione.

——————————-

* In questo senso si rivela profetica la gag di Benigni in Johnny Stecchino, sui grandi problemi della città di Palermo. Allo stesso modo il grande Pippo Fava diceva che il vero significato della mafia a Palermo si poteva capire dagli sguardi e dalle minacce appena accennate, così comuni nel quotidiano traffico automobilistico cittadino.
**noi non pensiamo affatto che gli italiani del nord non possano usufruire della telepatia: siamo sicuri che anche a Treviso o a Vercelli o a Cremona la gente possa avere una intensa vita telepatica, soltanto che la telepatia trionfa e domina dove le leggi e i patti sociali convenzionali funzionano meno, dove le regole  e i pilastri della civiltà nordeuropea contemporanea sono meno granitici.

La “non elevata cultura” è una attenuante in caso di omicidio. Analfabeti e imprenditori di tutta Italia, lucidate le spranghe.

Oggi la Cassazione del tribunale di Milano ha eliminato le aggravanti a carico dei due commercianti milanesi che tre anni fa uccissero a sprangate Abdul Guiebre detto Abba, che oggi avrebbe 22 anni e allora ne aveva 19.
Riportiamo un passo dell’articolo del Corriere della Sera (edizione di Milano) sull’argomento.

In particolare, la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 31454 depositata mercoledì, ha rilevato che i giudici del merito non hanno dato adeguata motivazione circa l’aggravante: «l’indagine omessa in funzione della valutazione della sussistenza o meno del futile motivo – si legge nella sentenza – è proprio quella attinente alla componente psichica soggettiva che indusse i Cristofoli, persone di non elevata cultura, reduci da una pesante notte di lavoro e pronti a continuare la loro attività nel bar, a reagire, seppure del tutto sproporzionatamente sul piano oggettivo, al piccolo furto commesso ai loro danni dai giovani stranieri al culmine di una notte di pellegrinanti evasioni che li rese particolarmente disinibiti e scanzonati al cospetto degli affaticati e suscettibili derubati».

Leonardo Sciascia, uno dei più grandi cervelli che la Sicilia ha donato al mondo nell’ultimo secolo, aveva a suo tempo evidenziato la sintassi grottesca del gergo giudiziario.
Nel nostro piccolo vorremmo continuare questo lavoro analizzando alcuni degli elementi più scandalosi di questa sentenza:

persone di non elevata cultura
I due assassini (ricordiamo i nomi di chi ha commesso tale infamia: Fausto e Daniele Cristofoli, PADRE E FIGLIO) sarebbero persone di “cultura non elevata”. Due piccoli imprenditori non analfabeti non possono aspirare a far parte dello stesso terreno culturale di chi le sentenze le scrive.
Impossibile non pensare al torturatore che in Germania abusò per settimane della propria compagna e subì una condanna mite perchè il tribunale gli riconosceva l’attenuante di essere sardo, quindi appartenente ad un popolo per natura violento e possessivo.
I giudici di Milano usano l’espressione “di non elevata cultura” che, oltre a perpetuare quel pensiero classista che reputa ignorante chiunque non abbia una laurea, rischia di diventare un pericoloso precedente per la giurisprudenza italiana.
Fausto e Daniele Cristofoli erano i titolari dello Shining Bar, quindi erano due (piccoli) imprenditori. Per fare tale mestiere bisogna saper leggere, scrivere e far di conto, quindi sicuramente non erano analfabeti.
Fausto Cristofoli aveva letto l’Etica Nicomachea di Aristotele?
Daniele Cristofoli conosceva il greco antico?
Qual è il requisito minimo che fa distinguere una persona di elevata cultura da un’altra di non elevata cultura?
Una laurea in Giurisprudenza?
Una dichiarazione dei redditi superiore ai 70mila euro l’anno?
A Flavio Briatore o ad Antonio Cassano verrebbe riconosciuta l’attenuante della “cultura non elevata” se dovessero uccidere a sprangate in testa un diciannovenne?
La maggior parte degli assassinii di mafia avvenuti in Sicilia negli anni ’60 ’70 ’80 e ’90 del Novecento erano opera di analfabeti o semi-analfabeti. Anche in tal caso varrebbe l’attenuante?

reagire sproporzionatamente al piccolo furto compiuto da alcuni stranieri.
Qui il giudice che ha scritto la sentenza o è in malafede o è ignorante: Abdoul Guiebre aveva la cittadinanza italiana, NON ERA STRANIERO. Pur essendo nato in Burkina Faso era italiano. Il giudice dovrebbe saperlo.
Non vorremmo pensare male, ma inserire l’espressione “alcuni stranieri” all’interno di una SENTENZA DEL TRIBUNALE sembra davvero una cosa inutile, per non dire discriminatoria: a chi importa la nazionalità di chi compie un “furto” (di un pacco di biscotti)? Il fatto che fossero “stranieri” (cosa NON VERA) potrebbe valere come attenuante? Implicitamente è questo il messaggio che il giudice fa passare nella sua sentenza.

Giovanni Falcone e la mentalità mafiosa

Fra poche ore sarà il ventesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone; noi vogliamo parlare della mafia, o meglio, dei mafiosi.
Falcone e gli altri giudici palermitani hanno passato letteralmente mesi e anni interi a interrogare mafiosi: alcuni hanno urlato, altri si sono mostrati innocenti fino alla minaccia, altri hanno dato in escandescenza, altri si sono rifiutati di rispondere, chiedendo tuttavia al giudice di “non volergliene”, e infine altri hanno collaborato.
Giovanni Falcone, da persona sicuramente intelligente quale è stata, ha imparato dai mafiosi ad accorciare la distanza fra il dire e il fare, come gli uomini d’onore.
Fratello ricordati che devi morire, ci insegna la Chiesa cattolica. Il catechismo non scritto dei mafiosi suggerisce qualcosa di analogo: il rischio costante della morte, lo scarso valore attribuito alla vita altrui, ma anche alla propria, li costringono a vivere in uno stato di perenne allerta. Spesso ci stupiamo della quantità incredibile di dettagli che popolano la memoria di Cosa Nostra. Ma quando si vive come loro in attesa del peggio si è costratti a raccogliere anche le briciole. Niente è inutile. Niente è frutto del caso. La certezza della morte vicina, tra un attimo, tra una settimana, tra un anno, pervade del senso della precarietà ogni istante della loro vita .
Conoscendo gli uomini d’onore Falcone ha imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate nè incomprensibili. Sono in realtà le logiche del Potere e dello Stato, sempre funzionali a uno scopo.
Giovanni Falcone alla fine è morto perchè ha avuto troppa fiducia nello Stato.
Pensava che la mafia non fosse altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato, e fino all’ultimo era animato da un autentico e maturo senso dello Stato.
Falcone forse aveva capito che lo Stato italiano non aveva veramente intenzione di combattere la mafia. Ma, giorno dopo giorno, aveva maturato comunque l’idea che fosse suo dovere fare il salto di qualità nell’organizzazione della lotta per ottenere risultati significativi.
Vent’anni fa l’attentato, sanguinosa prova che la sua pur scettica fiducia nello Stato non fu ben riposta.

il tracollo morale della città di Padova: il caso di Riina junior e l’invasione di cavallette

Quando si vuole chiamare Padova in un modo diverso da “padova” si dice “la città del santo”.
Il santo, per quei pochi che non lo sanno, è sant’Antonio
In questi giorni a Padova si parla del caso dell’accoglienza, in una struttura di recupero stabilita dal tribunale e secondo le leggi dello Stato Italiano, del pluripregiudicato Salvuccio Riina.
Il sindaco(pd) e il presidente della provincia(pdl) hanno detto espressamente che non vogliono ospitare il giovane Riina. Non vogliono “problemi”, non vogliono “carichi pesanti”.
Se i padovani, come sostengono i loro rappresentanti politici, non desiderano ospitare il percorso rieducativo di Salvatore Riina jr vuol dire che non capiscono il valore che potrebbe avere la presenza di quell’uomo nelle loro terre.
Difettano anche dei valori del cristianesimo: il perdono, il pentimento, la penitenza.
Riina potrebbe riscoprire Dio nella “città del santo”, proprio come è accaduto a Spatuzza nel confessionale del carcere.
Padova potrebbe dimostrare all’Italia e al mondo la propria statura morale accogliendo a braccia aperte il giovane siciliano, dimostrandosi così una città sensibile al perdono e adatta ad un percorso di riconversione morale.
Evidentemente padova non è nelle condizioni di dare lezioni morali ad un giovane pregiudicato della provincia di Palermo. E lo dicono chiaramente, il sindaco (pd), il presidente della provincia (pdl) e i consiglieri leghisti, che hanno buttato fango su Tina Ciccarelli, educatrice a capo della onlus “Noi famiglie padovane contro l’emarginazione”, che meritoriamente e coraggiosamente ha ottenuto di poter accogliere nella sua struttura Riina jr.

Tina Ciccarelli ci sembra l’unico unico lampo di carità e umanità rimasto nella città.

Da notare che un altro familiare di Totò Riina viene ospitato, senza isterismi o dichiarazioni di guerra, in un’altra zona d’Italia, che forse ha più familiarità con i valori di perdono e carità umana.

Di questo i padovani dovrebbero prendere atto, di non ritenere la propria città un posto adatto alla rieducazione di Salvatore Riina jr, manco fosse un’invasione di cavallette.

L’ omertà non è male

L’omertà può essere “buona”?
Secondo ilfiumeoreto, sì.
Quando essa è al servizio dei deboli o degli amici, l’omertà viene chiamata complicità, ed è considerata lecita.
Quando essa è al servizio dei forti e degli oppressori, viene chiamata omertà e viene disprezzata.
Ma si tratta dello stesso procedimento, identico: occultare dei fatti conosciuti, di fronte a qualcuno che non ne sa niente ma vuole conoscere i fatti, sia esso la polizia o chiunque altro.
Ranajit Guha ha studiato le rivolte contadine in India e in Europa negli ultimi secoli, e ha notato che ci sono dei momenti in cui una comunità decide di non comunicare più col potere, oppressore e legale, e di tenere per sè le informazioni sul contropotere “criminale” (sia esso “mafioso” o “partigiano”, tagliando con l’accetta).
Facciamo due esempi. Qualcuno potrebbe leggerla come una provocazione, ma sono solo due esempi: potremmo farne mille altri.
Chi nascondeva un’ebreo durante le persecuzioni nazifasciste era omertoso verso l’autorità e complice verso chi ospitava.
Il commerciante siciliano che non denuncia il proprio estortore non nasconde nessun rifugiato, nasconde solo sè stesso dalla vendetta del “contropotere” illegale. Entrambi i casi meritano un identico rispetto.*

Pensiamo che l’omertà sia uno strumento che gli organismi sociali adottano per difendere sè stessi, sia a livello individuale sia per quanto riguarda le masse.
Ciò vuol dire che, a seconda delle contingenze storiche, la medesima azione di occultamento di notizie può essere al servizio disinteressato dell’umanità in generale o unicamente al servizio della propria umanità personale.
L’omertà è un’arma fondamentale di ogni gruppo o singolo in lotta per la propria sopravvivenza contro un potere costituito legale, statale o poliziesco.
Noi non diamo giudizi morali, non ne siamo degni; i siciliani che non denunciano i mafiosi sono omertosi; allo stesso modo, i romani che hanno nascosto gli ebrei nel 1945 erano omertosi verso il potere nazifascista. Entrambi operano per la sopravvivenza umana: disinteressata e di gruppo nel secondo caso, interessata e personale (o familiare) nel primo. Nel secondo caso domina il coraggio. Nel primo a dominare è la paura.
L’uomo lotta per la propria sopravvivenza, e lo fa da solo o in gruppo. Ogni tentativo di salvaguardia della vita umana merita rispetto, quando non minaccia la vita altrui in maniera diretta.
I giudizi morali vengono espressi spesso dal caldo di una poltrona o da dietro una scrivania, o durante una conferenza stampa.
Abbiamo deciso di affrontare un tema così delicato per farvi capire che i confini fra lecito e illecito, giusto e sbagliato, legale e illegale sono talmente mutevoli e sottili che dare giudizi morali non è facile.
Noi non pensiamo affatto che “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, come recitava uno dei cavalli di battaglia della campagna di viral marketing pianificata da Addiopizzo qualche anno fa per inserirsi nel mercato mediatico.


Slogan ad effetto, certo, ma totalmente fasullo.
Noi pensiamo che “un intero popolo” paga il pizzo per vivere, o quantomeno per sopravvivere.
La sopravvivenza.
Non è forse questo il massimo della dignità umana?

———————————————————————————————————
* Entrambi rischiano qualcosa: chi nascondeva gli ebrei e veniva scoperto rischiava la morte per mano del potere legale; chi non denuncia il proprio estortore rischia, durante le vaste operazioni anti-mafia, di essere accusato di collusione: pagavi, non denunciavi e ti veniva consentito di lavorare. Colluso. Se denunciavi, tu e la tua famiglia rischiavate ritorsioni.
Il confine tra giusto e sbagliato, omertà e complicità, legale e illegale si confonde e si mescola di caso in caso. E cambia colore a seconda di chi narra gli eventi.