Santanché e Pussy Riot: analogie e differenze

satan ché

A prima vista, la vergognosa azione della Santanché alla moschea di Milano non è tanto diversa dall’azione delle Pussy Riot in una cattedrale di Mosca per la quale le attiviste russe sono state condannate a due anni di carcere duro.

Entrambe le azioni miravano a puntare il dito contro la connivenza delle religioni organizzate con un potere politico-religioso che opprime il popolo.

La Santanché contro il burqa, le Pussy Riot contro il sostegno della Chiesa ortodossa alla politica di Putin.

Ma, guardando più a fondo, ci sono delle enormi differenze.

Innanzitutto, le azioni delle Pussy Riot andavano contro la maggioranza al potere, mentre la vergognosa azione della Santanché andava contro una minoranza che in Italia spesso è costretta a subire la protervia razzista.

Poi, la Santanché è un ricco imprenditore nonchè parlamentare, mentre le Pussy Riot sono delle attiviste senza arte nè parte, quindi è evidente lo squilibrio di potere.

Però ci sono delle analogie.

L’ateismo militante (in questi casi accostabile ai teorici della difesa delle radici cristiane) spesso cade in contraddizioni atroci, e non sorprende che una certa destra neoconservatrice tenti di sfruttare la pretesa superiorità occidentale proprio sul terreno della laicità.

Marine Le Pen guadagna consensi perché ha spinto il Front Nationale a lasciare perdere l’antisemitismo per concentrarsi sull’islamofobia, in difesa dell’identità laica e femminista francese.

Proprio così, la destra (assieme a una parte della sinistra più “laicista”) usa il femminismo contro la minoranza islamica.


Nel video qui sopra potete ammirare il futuro sognato da Santanché, Brunetta, cattolici tradizionalisti e atei militanti: una donna col niqab (che in Italia chiamano burqa) viene perquisita per strada e denunciata in base al suo credo religioso.
Come potete vedere, in Francia le donne col burqa o con il niqab vengono discriminate, e ci sembra questo l’obbiettivo delle campagne razziste della Santanché, che nasconde a malapena la sua xenofobia dietro il velo del femminismo, della presunta difesa delle donne musulmane “costrette” a indossare il burqa.

Renato Brunetta oggi ha fatto la seguente dichiarazione:

«se ci fosse bisogno di una conferma a proposito di come va la giustizia in Italia, ecco la sentenza contro l’onorevole Daniela Santanchè, condannata a quattro giorni d’arresto per aver civilmente manifestato contro il burqa, vera prigione in cui stanno rinchiuse donne rese schiave anche in Italia. Mi domando: chi è l’estremista? Lei o il Tribunale che l’ha condannata?».

In pratica, secondo questo pericoloso schema mentale razzista, le donne musulmane, incapaci di prendere decisioni autonomamente, vanno difese per mezzo delle spettacolari azioni di Santanché e delle parole di Brunetta, paladino delle donne e campione del femminismo.

Va sottolineata, infine, la grandissima dignità della comunità musulmana milanese nel reagire a questa provocazione.

Immaginate un politico musulmano che la domenica di Pasqua andasse fuori da una Chiesa alla fine della Messa Pasquale, accompagnato da decine di giornalisti e telecamere, senza nessuna autorizzazione, urlando insulti e bestemmie contro i fedeli cristiani.

Immaginate la reazione dei fedeli cristiani quale sarebbe stata.

A Milano, un fedele musulmano col braccio ingessato non riuscì a tollerare in silenzio la blasfemia della Santanché, e decise di rischiare la galera (è stato infatti condannato a decine di migliaia di euro di multa) per opporsi alla provocazione indegna di un parlamentare italiano.

Laicismo, difesa delle radici cristiane, islam, femminismo, non sono parole vuote, scudi dietro cui difendere qualsiasi istanza politica.

Bisogna avere la capacità di capire quando questi valori vengono sbandierati in maniera sincera e quando invece sono delle armi al servizio dei potenti.

Le azioni della Santanché contro il burqa ci riportano alla mente quelle delle donne francesi che negli anni ’50 in Algeria strappavano i veli alle algerine per “liberarle dall’oppressione maschile”, per poi bruciare in piazza il simbolo de “l’odio patriarcale”.

Quelle donne, con l’alibi del femminismo, perpetravano invece il dominio francese su un popolo messo in ginocchio dall’occupazione coloniale.