il tracollo morale della città di Padova: il caso di Riina junior e l’invasione di cavallette

Quando si vuole chiamare Padova in un modo diverso da “padova” si dice “la città del santo”.
Il santo, per quei pochi che non lo sanno, è sant’Antonio
In questi giorni a Padova si parla del caso dell’accoglienza, in una struttura di recupero stabilita dal tribunale e secondo le leggi dello Stato Italiano, del pluripregiudicato Salvuccio Riina.
Il sindaco(pd) e il presidente della provincia(pdl) hanno detto espressamente che non vogliono ospitare il giovane Riina. Non vogliono “problemi”, non vogliono “carichi pesanti”.
Se i padovani, come sostengono i loro rappresentanti politici, non desiderano ospitare il percorso rieducativo di Salvatore Riina jr vuol dire che non capiscono il valore che potrebbe avere la presenza di quell’uomo nelle loro terre.
Difettano anche dei valori del cristianesimo: il perdono, il pentimento, la penitenza.
Riina potrebbe riscoprire Dio nella “città del santo”, proprio come è accaduto a Spatuzza nel confessionale del carcere.
Padova potrebbe dimostrare all’Italia e al mondo la propria statura morale accogliendo a braccia aperte il giovane siciliano, dimostrandosi così una città sensibile al perdono e adatta ad un percorso di riconversione morale.
Evidentemente padova non è nelle condizioni di dare lezioni morali ad un giovane pregiudicato della provincia di Palermo. E lo dicono chiaramente, il sindaco (pd), il presidente della provincia (pdl) e i consiglieri leghisti, che hanno buttato fango su Tina Ciccarelli, educatrice a capo della onlus “Noi famiglie padovane contro l’emarginazione”, che meritoriamente e coraggiosamente ha ottenuto di poter accogliere nella sua struttura Riina jr.

Tina Ciccarelli ci sembra l’unico unico lampo di carità e umanità rimasto nella città.

Da notare che un altro familiare di Totò Riina viene ospitato, senza isterismi o dichiarazioni di guerra, in un’altra zona d’Italia, che forse ha più familiarità con i valori di perdono e carità umana.

Di questo i padovani dovrebbero prendere atto, di non ritenere la propria città un posto adatto alla rieducazione di Salvatore Riina jr, manco fosse un’invasione di cavallette.

Un altro piccolo segreto del successo: l’umiliazione di Karol Wojtyla

Un paio di settimane fa abbiamo parlato di due aspetti poco noti del pontificato di Giovanni Paolo II. Andate a rileggervi l’articolo se vi va di capire come quest’uomo costruì la propria magia carismatica.

Oggi parleremo di un terzo trick usato da Wojtyla per diventare imbattibile e guadagnare consensi.

Ci riferiamo al fatto che Giovanni Paolo II chiese scusa per le malefatte dei suoi predecessori sul soglio di Pietro.

Chiese scusa per Galileo. Chiese scusa per le crociate e per le violenze dei secoli precedenti.

Una mossa furbissima, che non gli è costata niente ma che gli ha fatto guadagnare il rispetto anche dei laici e dei non credenti.

Ecco come si esprimeva qualche anno fa Galli della Loggia su quest’argomento:

‘Il bilancio storico non può che chiudersi su Giovanni Paolo II. Cosa pensi dei suoi mea culpa?’ – Della Loggia risponde -:’Da un lato, provo un’impressione negativa, perché chiedendo perdono il Papa genera un fortissimo pregiudizio storico: l’idea che fosse possibile per la Chiesa non fare le crociate, non creare l’Inquisizione, non battezzare con la forza gli indios. Mettere le cose sul piano del perdono cancella tutte le ragioni storiche: è il trionfo di un punto di vista moralistico sulla storia, cosa che per uno che fa la mia professione è inaccettabile. Però, in realtà, chi si umilia si esalta, chi chiede perdono è più forte di chi non lo fa. Nessuno nel 900 ha chiesto perdono, né Hirohito, né i nazisti, né i membri del Politburo. La Chiesa si candida a essere l’unica e vera autorità morale del ventunesimo secolo’

Chiedendo perdono Wojtyla ha amputato alla radice qualsiasi critica anticlericale basata sulle nefandezze della chiesa nei secoli passati: l’argomento-crociate o l’argomento-Galileo non poteva più venire usato contro Wojtyla, visto che lui rinnegava tutto ciò.

Un bluff che contribuì parecchio alla creazione di quell’aura di intoccabilità che ha circondato Giovanni Paolo II.

Il fatto poi che lui stesso, pur in maniera ondivaga e autocontraddittoria, continuasse a esaltare gli uomini di chiesa in armi o a giustificare la violenza, come abbiamo già spiegato nell’altro articolo, non ha inficiato la comune percezione di un papa “veramente pentito” per i crimini del passato, e quindi di fatto innocente, o comunque migliore rispetto ai suoi simili.

Cosa per niente vera, visto che la svolta di umiliazione e scuse all’umanità è stata decisa di concerto da tutto lo staff papale.

Leggete come l’allora cardinale Ratzinger, nell’inedita veste di PR, lasciava trapelare alla stampa che

“Sarà una cerimonia, che non ha precedenti storici”, promette il cardinale Joseph Ratzinger. Giovanni Paolo II, circondato dai cardinali nella basilica di San Pietro, pronuncerà ad alta voce “l’ atto di confessione delle colpe”, abbracciando e baciando un antico crocifisso in segno di venerazione e di richiesta di perdono. L’ elenco dei peccati è lungo. Monsignor Piero Marini, cerimoniere del Papa, prova ad elencarli: “Violenza contro i dissidenti, guerre di religione, soprusi nelle crociate, metodi coattivi dell’ inquisizione, scomuniche, persecuzioni, divisioni, che hanno provocato divisioni fra i cristiani, disprezzo, atti di ostilità nei rapporti con il popolo ebraico, peccati contro l’ amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle altre religioni in concomitanza con l’ evangelizzazione, peccati contro la dignità umana:verso le donne, le razze, le etnie, peccati nel campo dei diritti umani fondamentali della persona e contro la giustizia sociale..”

Divertente che il papa chieda perdono per la “violazione dei diritti umani” per fatti avvenuti secoli prima che i diritti umani venissero teorizzati. Un modo di leggere la storia a casaccio, ma di sicuro effetto.

Insomma, un rito deciso a tavolino per guadagnare consensi, cosa in cui Wojtyla era davvero un maestro.