A breve, il 2 Aprile, sarà l’anniversario della morte per eutanasia di Karol Wojtyla, in arte Giovanni Paolo II.
E’ innegabile che fra lui e il suo successore Joseph Ratzinger ci siano profonde differenze nel modo di proporsi all’umanità.
Oggi parleremo dei metodi con cui Wojtyla ha costruito il proprio ruolo carismatico e la propria immagine pubblica.
Innanzitutto rispetto a Ratzinger ci sono delle fondamentali differenze storico-biografiche: GPII divenne papa a 58 anni, BXVI a 78; un bell’uomo atletico, sciatore e dal buffo accento slavo avrà maggior presa sulle persone rispetto a un quasi ottantenne dal marziale accento tedesco.
Ma lasciando stare le contingenze storiche, che pure ebbero un peso notevole, per capire il segreto dell’eccezionale carisma del papa polacco ci rifaremo all’ultimo capitolo di un denso volume di storia del cristianesimo, Chiesa, Pace e Guerra nel Novecento, scritto da Daniele Menozzi e pubblicato nel 2008 per Il Mulino editore.
Il capitolo in questione descrive l’atteggiamento di Wojtyla nei confronti di temi come la dottrina della guerra giusta, la pace, l’anticomunismo, le armi nucleari eccetera.
Su questi argomenti Wojtyla, nel corso del suo pontificato, ha detto tutto e il contrario di tutto, e secondo Menozzi riscontriamo una difficile compatibilità delle parole pronunciate in occasioni diverse.
Perchè questa incoerenza?
La risposta a questa domanda svela uno dei segreti del suo carisma in tutto il mondo; Wojtyla non scriveva da solo i suoi discorsi e le sue omelie: soprattutto nel corso dei viaggi, le parole da lui pronunciate erano scritte da altri, spessissimo da esponenti del clero locale.
Andava in Polonia e leggeva discorsi scritti da preti polacchi, in Sicilia da preti siciliani, in Sudamerica da preti sudamericani, ecetera eccetera.
Questa è una delle ragioni per cui, ovunque andasse, radunava folle immense di fedeli adoranti, che rimanevano abbagliati dalla forza delle sue parole. Discorsi scritti da esponenti delle varie chiese locali, sicchè inevitabilmente essi risentono di un ampio spettro di sensibilità e di accenti diversi.
Partendo da quest’assunto, Menozzi mostra con chiarezza un altro pilastro del carisma di GPII. Riportiamo il passo integralmente perchè sarebbe difficile sintetizzare meglio:
Giovanni Paolo II, profondamente convinto del suo ruolo carismatico – fondato in ultima analisi sulla convinzione di una relazione privilegiata tra il successore di Pietro e il divino – potrebbe dunque aver affidato l’unitarietà dei suoi interventi, più che alla precisione dei termini dei suoi discorsi, piegati, nelle diverse circostanze, alle varie e specifiche contingenze e opportunità del momento, al fatto che essi sono pronunciati da una persona in grado di attirare attenzione, suscitare emozione, aggregare consenso, in una sorta di apostolato basato sull’olistica identificazione tra il papa e la chiesa.
Menozzi ci spiega magistralmente qualcosa che molti di voi avrete sicuramente notato da soli: l’identificazione tra papa e chiesa avvenuta con Wojtyla non si è ripetuta con Ratzinger. Specie negli ultimi anni Wojtyla era diventato inattaccabile per il suo potere carismatico. A parte gli anticlericali più accaniti, GPII era un simbolo intoccabile tanto a destra quanto a sinistra.
Ratzinger al contrario ha dovuto barcamenarsi prima con la scomoda eredità del suo predecessore, e ora con varie accuse, denunce, veleni, addirittura minacce di morte che potrebbero spingerlo clamorosamente alle dimissioni, il cui ultimo precedente storico sarebbero quelle del molisano Celestino V, il papa che viene insultato da Dante nella Divina Commedia.
In conclusione possiamo dire che i segreti del potere carismatico di Giovanni Paolo II sono stati fondamentalmente due: il fatto di parlare all’estero con le parole delle varie chiese nazionali, più vicine al cuore dei fedeli, unito alla convinta consapevolezza della propria potenza carismatica (derivata direttamente da Dio) ha permesso a Wojtyla di diventare l’uomo più amato e ascoltato del mondo durante i suoi 27 anni di pontificato.