Zapatero ha distrutto il suo paese, ovvero, la Crisi Spagnola e la birra degli Erasmus. Viaggio in Spagna tra micro-Storia e macro-Storia

Nel 2005 due giovani amiche palermitane, studentesse dell’università di Palermo, decidono di fare l’Erasmus in Spagna.
Sono giorni di piena espansione, per la Spagna. A Barcellona vivono 30000 italiani, c’è una grossa richiesta di lavoro e l’economia cresce a ritmi vertiginosi.
Vista da Palermo, dalla Sicilia e dall’Italia berlusconiana, la Spagna sembra a tutti un paradiso a portata di mano.
Rispetto all’Italia, il clima, la lingua e la cucina sono simili, contrariamente al freddo e ricco nord europa (Padania inclusa) abituale meta di emigrazione;
Rispetto all’Italia, il lavoro non manca.
Rispetto all’Italia, c’è un governo che adotta politiche sociali libertarie: matrimoni gay, droghe leggere tollerate fino alla legalizzazione, diritto di voto ai grandi primati (proyecto gran simio).
Aggiungete la proverbiale inclinazione alla festa dei popoli iberici, strutture universitarie in espansione, il basso prezzo degli alcoolici, e capirete perchè decine di migliaia di giovani italiani nell’ultimo decennio hanno passato periodi più o meno lunghi delle loro vite in Spagna.

Ciò spiega anche il successo di trasmissioni tv insulse tipo Italo-Spagnolo di Fabio Volo su Mtv, o del film Viva Zapatero di Sabina Guzzanti. Per quanto riguarda Paso Adelante, il successo era dovuto totalmente alle natiche di Monica Cruz, la sorella bella di Penelope.
Olé.

Le due giovani palermitane arrivano in una metropoli iberica piene di speranze di lavoro, di studio e di divertimento.
Una delle due ha la borsa di studio, quindi non cercherà lavoro. L’altra non ce l’ha, quindi troverà immediatamente lavoro in una gelateria “Helados Italianos” gestita da un cinquantenne ricco spagnolo. I gelati erano ovviamente orribili, ma la gente del luogo li comprava.
Professionisti, piccolo borghesi e i tantissimi operai edili lavoravano e ritiravano soldi al banco, per spenderli in gelati, birra, cocaina, mutui, vestiti e azioni di borsa. Chi non lavorava aveva corposi sussidi statali, ma erano in pochi, lungimiranti.
Oltre a loro, a frequentare la gelateria Helados Italianos erano gli studenti, fuorisede ed Erasmus.
L’università spagnola che li ospitava gestiva qualcosa come 10000 studenti Erasmus, composti da un 40% di tedeschi, un 20% di italiani e il restante quaranta equamente suddiviso fra giovani viziosi rappresentanti di ogni popolo d’europa. Notevole l’indotto.

Non staremo qui a tediarvi coi particolari della vita erasmus: l’erasmus è un non-luogo, un corridoio con un cucina e un frigorifero pieno di lattine di birra e superalcolici,  dove si parla all’infinito un inglese maccheronico e si prova a infilare il proprio pene in qualche orifizio, o si cerca qualche pene da infilare nei propri orifizi, oppure si blatera senza costrutto. Quando la festa finisce, si torna a casa e si sta ore su facebook a commentare le foto delle feste, facendo così una involontaria opera di pubblicità all’emigrazione in Andalusia o in Catalunya o in Euskal Herria nei confronti degli amici rimasti mollemente in Sicilia.

La nostra studentessa-lavoratrice erasmus palermitana, risucchiata nel vortice di lavoro, studio, feste, botellones e chicas y chicos, cominciò ad apprezzare il paese in cui viveva. Tutto andava a gonfie vele, se confrontato con lo stagno di Unipa, e di PA in generale.
La studentessa borsista non lavoratrice, invece, visto che non lavorava, poteva racchiudere la Spagna di Zapatero in una immagine da cartolina: ogni sguardo alzato al cielo imponeva una gru all’orizzonte.
Tra il 1999 e il 2009 era impossibile alzare lo sguardo e non vedere una gru stagliarsi sobre los cielos azulisimos del regno di Juan Carlos di Borbone.


L’effimero successo economico di Zapatero si basava sull’edilizia selvaggia.
Interi casermoni, interi quartieri, interi paesini sono stati edificati; la loro costruzione ha dato lavoro a quegli operai che rimettevano i soldi in circolo nelle gelaterie.
Oggi questi palazzoni sono vuoti, invenduti, disabitati. Un disastro epocale.
In questo, Zapatero si è limitato a continuare la politica edilizia del PP di Aznar.
Zapatero ha finito il lavoro iniziato da Aznar e così facendo ha ridotto la Spagna a quello che è adesso, uno stato in bancarotta distrutto da una politica edilizia dissennata che ha devastato l’ambiente, alla faccia dei talentuosi architetti spagnoli.

(Occorre dire che le coste spagnole cominciarono a venire deturpate da Franco negli anni ’50, poi autonomie locali, socialisti e popolari hanno fatto il resto. Zapatero ha messo la ciliegina sulla torta di cemento)
Torniamo alla micro-storia.
Nel 2011 la gelateria Helados Italianos ha chiuso.
Nel 2005, le due studentesse palermitane, fumando erba sedute nel salotto della loro elegante habitaciòn (affittata ad un prezzo stracciato) inscenavano un dialogo in cui una delle due elogiava l’operato di Zapatero, l’altra lo riteneva disastroso.
Il fatto che la storia abbia dato ragione all’una e non all’altra è un aspetto secondario.
Quello che conta è la vita delle persone, che nel 2005 era fantastica, e oggi è disastrosa, il cemento ha divorato grossi pezzi della penisola, tutta quanta la costa e buona parte delle isole.
Il cielo di Spagna, l’ambiente, la quotidianità visiva e sensoriale degli spagnoli è ormai segnata per sempre.
Torniamo alla macro-storia.
Cosa succederà adesso?
La nemesi della storia potrebbe accanirsi su Zapatero:
L’avversario da lui sconfitto, il mediocre democristiano Mariano Rajoy, starebbe pensando ad una mossa rivoluzionaria: non chiedere aiuti all’UE per non cedere sovranità alla BCE. Una mossa no-global, che gli varrebbe l’appoggio di massa della popolazione.
Avrà il coraggio per farlo?
Non lo sappiamo, ma la probabile nazionalizzazione di Bankia e Caixa, i due grandi istituti di credito in crisi, sembra essere un indizio.

AGGIORNAMENTO 20 LUGLIO 2012

Beh, diciamo che alla fine Rajoy ha dovuto chiedere aiuto alla Banca Centrale Europea, ma probabilmente neanche questo basterà. Gli spagnoli, dopo aver votato ed esaltato per decenni i colpevoli di questa crisi, ora sembrano piuttosto arrabbiati.

Bassa Lega

Prima di avventurarsi in qualunque analisi “seria” sul fenomeno Lega Nord occorre tenere presente che si sta parlando di un movimento che da anni fonda le sue battaglie, le sue lotte e i suoi principi sulla rivendicazione di una terra di fantasia, i cui confini sono del tutto aleatori. Un partito che, si dice, è diviso al suo interno in due correnti: il cosiddetto “Cerchio Magico” e i “Barbari Sognanti“.

Probabilmente basterebbe questo a scoraggiare chiunque sia intenzionato a prendere sul serio il fenomeno e a liquidare tutti i bramiti leghisti come deliri di squilibrati. Ma, come ci ricordano in molti – anche e soprattutto a sinistra – sono «radicati nel territorio», prendono un sacco di voti, e quindi è giusto parlarne come se fossero persone normali.

Ciò di cui si parla in questi giorni, in queste ore – in poche parole, anche la Lega avrebbe qualche problema di tangenti, o almeno così pare – non farebbe altro che demolire l’ennesima leggenda della mitologia leghista. Almeno, a prima vista.

I nazionalismi, si sa, si nutrono di miti. Benché il leghismo non sia, a nostro parere, minimamente degno di essere classificato come “nazionalismo”, il movimento padano ha costruito negli anni un singolare épos fatto, almeno in superficie,  di integrità, purezza, incorruttibilità e diversità, e non ci riferiamo ai continui vagheggiamenti riguardanti i popoli oppressi, le radici celtiche, i tratti in comune con corsi, baschi, scozzesi, catalani, nativi americani, vichinghi e hawaiani, che hanno reso i raduni di Pontida degli happenings in salsa paesana.

Non osiamo nemmeno pensare a quanti fiumi d’inchiostro si staranno versando in queste ore sulla definitiva “perdita dell’innocenza” da parte della Lega, perdipiù perpetrata dal suo padre fondatore.

Ma c’è veramente qualcuno in grado di sorprendersi? C’è qualcuno che ha ancora la forza di stupirsi?

Non è il caso, a nostro avviso, di avvampare di sdegno e sobbalzare sulla poltrona.

L’immagine dei “duri e puri”, ormai da anni, la Lega l’ha lasciata a coloro che, bontà loro, vogliono credere ancora alle favole, le stesse, probabilmente,  che compongono il corpus della mitologia padana. Stiamo parlando, infatti, del movimento che da anni non si risparmia nelle crociate contro la palla al piede sudista e contro i suoi vergognosi sprechi, salvo poi stipulare cordialissime alleanze con gli stessi autori degli sprechi suddetti.

E’ possibile leggere, in queste drammatiche, palpitanti, terribili ore, editoriali che evidenziano come la Lega “si sia svegliata italiana”.

Sarebbe anche il caso di dire che un partito che ha messo i suoi uomini nei posti chiave dei consigli d’amministrazione delle banche e delle principali aziende del paese, e che per anni ha fatto il bello e il cattivo tempo sulla scena politica nazionale, ponendo ultimatum semiseri, battendo i pugni e facendosi blandire allo stesso tempo,  non solo è italiano, ma è proprio “romano”, come Carlo Verdone e l’amatriciana. E lo è da molto tempo.

E adesso? Dimessosi Bossi, tutti gli interrogativi riguardano il futuro della Lega.

Ci piace poter dire che del futuro della Lega non ce ne importa nulla.