Un altro piccolo segreto del successo: l’umiliazione di Karol Wojtyla

Un paio di settimane fa abbiamo parlato di due aspetti poco noti del pontificato di Giovanni Paolo II. Andate a rileggervi l’articolo se vi va di capire come quest’uomo costruì la propria magia carismatica.

Oggi parleremo di un terzo trick usato da Wojtyla per diventare imbattibile e guadagnare consensi.

Ci riferiamo al fatto che Giovanni Paolo II chiese scusa per le malefatte dei suoi predecessori sul soglio di Pietro.

Chiese scusa per Galileo. Chiese scusa per le crociate e per le violenze dei secoli precedenti.

Una mossa furbissima, che non gli è costata niente ma che gli ha fatto guadagnare il rispetto anche dei laici e dei non credenti.

Ecco come si esprimeva qualche anno fa Galli della Loggia su quest’argomento:

‘Il bilancio storico non può che chiudersi su Giovanni Paolo II. Cosa pensi dei suoi mea culpa?’ – Della Loggia risponde -:’Da un lato, provo un’impressione negativa, perché chiedendo perdono il Papa genera un fortissimo pregiudizio storico: l’idea che fosse possibile per la Chiesa non fare le crociate, non creare l’Inquisizione, non battezzare con la forza gli indios. Mettere le cose sul piano del perdono cancella tutte le ragioni storiche: è il trionfo di un punto di vista moralistico sulla storia, cosa che per uno che fa la mia professione è inaccettabile. Però, in realtà, chi si umilia si esalta, chi chiede perdono è più forte di chi non lo fa. Nessuno nel 900 ha chiesto perdono, né Hirohito, né i nazisti, né i membri del Politburo. La Chiesa si candida a essere l’unica e vera autorità morale del ventunesimo secolo’

Chiedendo perdono Wojtyla ha amputato alla radice qualsiasi critica anticlericale basata sulle nefandezze della chiesa nei secoli passati: l’argomento-crociate o l’argomento-Galileo non poteva più venire usato contro Wojtyla, visto che lui rinnegava tutto ciò.

Un bluff che contribuì parecchio alla creazione di quell’aura di intoccabilità che ha circondato Giovanni Paolo II.

Il fatto poi che lui stesso, pur in maniera ondivaga e autocontraddittoria, continuasse a esaltare gli uomini di chiesa in armi o a giustificare la violenza, come abbiamo già spiegato nell’altro articolo, non ha inficiato la comune percezione di un papa “veramente pentito” per i crimini del passato, e quindi di fatto innocente, o comunque migliore rispetto ai suoi simili.

Cosa per niente vera, visto che la svolta di umiliazione e scuse all’umanità è stata decisa di concerto da tutto lo staff papale.

Leggete come l’allora cardinale Ratzinger, nell’inedita veste di PR, lasciava trapelare alla stampa che

“Sarà una cerimonia, che non ha precedenti storici”, promette il cardinale Joseph Ratzinger. Giovanni Paolo II, circondato dai cardinali nella basilica di San Pietro, pronuncerà ad alta voce “l’ atto di confessione delle colpe”, abbracciando e baciando un antico crocifisso in segno di venerazione e di richiesta di perdono. L’ elenco dei peccati è lungo. Monsignor Piero Marini, cerimoniere del Papa, prova ad elencarli: “Violenza contro i dissidenti, guerre di religione, soprusi nelle crociate, metodi coattivi dell’ inquisizione, scomuniche, persecuzioni, divisioni, che hanno provocato divisioni fra i cristiani, disprezzo, atti di ostilità nei rapporti con il popolo ebraico, peccati contro l’ amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle altre religioni in concomitanza con l’ evangelizzazione, peccati contro la dignità umana:verso le donne, le razze, le etnie, peccati nel campo dei diritti umani fondamentali della persona e contro la giustizia sociale..”

Divertente che il papa chieda perdono per la “violazione dei diritti umani” per fatti avvenuti secoli prima che i diritti umani venissero teorizzati. Un modo di leggere la storia a casaccio, ma di sicuro effetto.

Insomma, un rito deciso a tavolino per guadagnare consensi, cosa in cui Wojtyla era davvero un maestro.

Il segreto del carisma di Giovanni Paolo II

A breve, il 2 Aprile, sarà l’anniversario della morte per eutanasia di Karol Wojtyla, in arte Giovanni Paolo II.
E’ innegabile che fra lui e il suo successore Joseph Ratzinger ci siano profonde differenze nel modo di proporsi all’umanità.
Oggi parleremo dei metodi con cui Wojtyla ha costruito il proprio ruolo carismatico e la propria immagine pubblica.
Innanzitutto rispetto a Ratzinger ci sono delle fondamentali differenze storico-biografiche: GPII divenne papa a 58 anni, BXVI a 78; un bell’uomo atletico, sciatore e dal buffo accento slavo avrà maggior presa sulle persone rispetto a un quasi ottantenne dal marziale accento tedesco.
Ma lasciando stare le contingenze storiche, che pure ebbero un peso notevole, per capire il segreto dell’eccezionale carisma del papa polacco ci rifaremo all’ultimo capitolo di un denso volume di storia del cristianesimo, Chiesa, Pace e Guerra nel Novecento, scritto da Daniele Menozzi e pubblicato nel 2008 per Il Mulino editore.
Il capitolo in questione descrive l’atteggiamento di Wojtyla nei confronti di temi come la dottrina della guerra giusta, la pace, l’anticomunismo, le armi nucleari eccetera.
Su questi argomenti Wojtyla, nel corso del suo pontificato, ha detto tutto e il contrario di tutto, e secondo Menozzi riscontriamo una difficile compatibilità delle parole pronunciate in occasioni diverse.
Perchè questa incoerenza?
La risposta a questa domanda svela uno dei segreti del suo carisma in tutto il mondo; Wojtyla non scriveva da solo i suoi discorsi e le sue omelie: soprattutto nel corso dei viaggi, le parole da lui pronunciate erano scritte da altri, spessissimo da esponenti del clero locale.


Andava in Polonia e leggeva discorsi scritti da preti polacchi, in Sicilia da preti siciliani, in Sudamerica da preti sudamericani, ecetera eccetera.
Questa è una delle ragioni per cui, ovunque andasse, radunava folle immense di fedeli adoranti, che rimanevano abbagliati dalla forza delle sue parole. Discorsi scritti da esponenti delle varie chiese locali, sicchè inevitabilmente essi risentono di un ampio spettro di sensibilità e di accenti diversi.

Partendo da quest’assunto, Menozzi mostra con chiarezza un altro pilastro del carisma di GPII. Riportiamo il passo integralmente perchè sarebbe difficile sintetizzare meglio:

Giovanni Paolo II, profondamente convinto del suo ruolo carismatico – fondato in ultima analisi sulla convinzione di una relazione privilegiata tra il successore di Pietro e il divino – potrebbe dunque aver affidato l’unitarietà dei suoi interventi, più che alla precisione dei termini dei suoi discorsi, piegati, nelle diverse circostanze, alle varie e specifiche contingenze e opportunità del momento, al fatto che essi sono pronunciati da una persona in grado di attirare attenzione, suscitare emozione, aggregare consenso, in una sorta di apostolato basato sull’olistica identificazione tra il papa e la chiesa.

Menozzi ci spiega magistralmente qualcosa che molti di voi avrete sicuramente notato da soli: l’identificazione tra papa e chiesa avvenuta con Wojtyla non si è ripetuta con Ratzinger. Specie negli ultimi anni Wojtyla era diventato inattaccabile per il suo potere carismatico. A parte gli anticlericali più accaniti, GPII era un simbolo intoccabile tanto a destra quanto a sinistra.
Ratzinger al contrario ha dovuto barcamenarsi prima con la scomoda eredità del suo predecessore, e ora con varie accuse, denunce, veleni, addirittura minacce di morte che potrebbero spingerlo clamorosamente alle dimissioni, il cui ultimo precedente storico sarebbero quelle del molisano Celestino V, il papa che viene insultato da Dante nella Divina Commedia.
In conclusione possiamo dire che i segreti del potere carismatico di Giovanni Paolo II sono stati fondamentalmente due: il fatto di parlare all’estero con le parole delle varie chiese nazionali, più vicine al cuore dei fedeli, unito alla convinta consapevolezza della propria potenza carismatica (derivata direttamente da Dio) ha permesso a Wojtyla di diventare l’uomo più amato e ascoltato del mondo durante i suoi 27 anni di pontificato.